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Questo articolo è stato pubblicato il 30 ottobre 2010 alle ore 17:03.
«Ci vogliono due padri», dice il siriano Walid (Amr Waked) all'italiano Diego (Alessandro Gassman), e quello di una genitorialità socialmente condivisa è uno dei temi fondamentale di «Il padre e lo straniero», il film diretto da Ricky Tognazzi sulla base del romanzo omonimo di Giancarlo De Cataldo e presentato oggi fuori concorso al Festival di Roma.
«Se ce ne fosse almeno uno che funziona saremmo già a buon punto», chiosa De Cataldo, che aggiunge: «Occorre una maggiore condivisione sociale verso chi è in condizioni di debolezza. Oggi in Italia le famiglie sono lasciate sole a gestire un disabile, un anziano malato, un figlio tossicodipendente. La nostra rete di sostegno sociale fa ridere a confronto di quelle di molti altri paesi, compresi quelli islamici: ce la sogniamo noi, la loro solidarietà umana e di comunità».
Il film di Tognazzi parla infatti di una famiglia che non riesce ad ottenere l'assistenza domestica per un bambino fortemente disabile e che rischia di soccombere davanti alla fatica di affrontare, senza aiuti, una situazione tanto impegnativa, fisicamente ed emotivamente. Il padre si ritira in un silenzio rabbioso, la madre (Ksenia Rappoport) si immola con una devozione che rende il suo rapporto con il figlio quasi patologicamente esclusivo, i due coniugi si parlano a stento, e con i toni aggressivi della stanchezza e del rancore.
In questo quadro entra Walid, anche lui padre di un bimbo disabile, ma fiero del proprio ruolo genitoriale e di quel figlio che «ha solo bisogno di essere amato di più». Walid, lo scopriremo, è un personaggio misterioso che nasconde non poche ambiguità, ma la sua capacità di voler bene al figlio più debole lo rende un modello per Diego, che ha paura di se stesso e della sua incapacità di gestire la disabilità del suo bambino.
«Ci siamo innamorati del romanzo di De Cataldo a prima vista, come Walid e Diego si innamorano platonicamente l'uno dell'altro appena si incontrano, uniti come sono dal dolore e dalla difficoltà delle loro circostanze», ricorda Tognazzi. «Questa storia parla della diversità come valore, del valore della tolleranza, e di che cosa voglia dire, a conti fatti, la normalità»
«Nel film, io sono il classico italiano medio che si scontra con un problema più grosso di lui», dice Alessandro Gassman. «La sfida più difficile è stata quella di dare corpo a tutte le sfumature del mio personaggio, che cambia parecchio nel corso della storia, una storia che assume via via colori diversi, fino al giallo della parte finale. Del resto è l'Italia stessa che sta cambiando colori, ed è bene che il cinema se ne occupi». «Invece nel nostro paese è in corso una sorta di strisciante, occulta pulizia etnica dei diversi e dei deboli, in nome di un'immagine di eterna giovinezza e invincibilità», si inserisce De Cataldo.