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Tra denaro e solitudine The Social Network al Festival di Roma

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Questo articolo è stato pubblicato il 01 novembre 2010 alle ore 16:46.

La storia di The Social Network, il film di David Fincher arrivato oggi come evento speciale al Festival del cinema di Roma dopo aver mietuto successi in tutto il mondo, si muove su un'infinità di piani paralleli, esattamente come la mente di Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, che ne è il protagonista. Da un lato c'è l'ossessione di un nerd ebreo per l'olimpo dorato dell'America anglosassone e benestante da generazioni, dall'altro c'è la contrapposizione fra una concezione di Internet come universo democratico il cui libero accesso dà uguali opportunità a tutti e il concetto opposto di esclusività della conoscenza che anche nei democraticissimi Stati Uniti stenta a morire, e si riflette anche all'interno dell'universo delle alte tecnologie.

Qualcuno ha descritto The Social Network come un Grande Gatsby per la generazione Internet, e in effetti il sentimento di esclusione di un ragazzo che riesce a conquistare sul campo il dominio economico ma non quello sociale ricorda molto da vicino la vicenda fitzgeraldiana. Ma ci sono altre caratteristiche che fanno del film di Fincher un capolavoro: innanzitutto il ritmo e la complessità della narrazione (la sceneggiatura è di Aaron Sorkin, premio Oscar annunciato), che fa zig zag nel tempo per raccontarci un universo parcellizzato e incapace di profondità come è quello della Rete e soprattutto quello di Facebook. C'è il contrasto fra la capacità di Zuckerberg di creare un sito con milioni di contatti e infinite possibilità di rimorchio e la sua vita personale, in cui le amicizie sono praticamente assenti (e l'unico amico vero viene sacrificato all'ansia di riscatto sociale) e l'unica ragazza importante gli ha tolto il saluto.

Nel momento in cui il 19enne Zuckerberg «mette in rete l'intera esperienza sociale del college» se ne scopre per sempre privato, sia perché comincia a trattare con il mondo degli adulti, sia perché quel mondo, in realtà, lo vede ancora come un invidioso pronto a invadere la privacy dei propri compagni. E Fincher sta molto attento a descrivere con altrettanta attenzione di quanta dedichi al mondo internettiano l'universo tangibile di privilegio e crudeltà sociale delle università americane, con tanto di nonnismo e misoginia rampante.

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Tags Correlati: Aaron Sorkin | Cultura | David Fincher | Jesse Eisenberg | Justin Timberlake | Mark Zuckerberg | Matrix | Napster | Roma | Sean Parker |

 

Il regista sottolinea anche che, per Zuckerberg, l'obiettivo finale non sono mai stati i soldi ma la popolarità, tant'è vero che per lui «Facebook è figo, e questo è il suo valore inestimabile». Infatti Mark cadrà vittima del fascino di Sean Parker, il fondatore di Napster, interpretato dal carismatico Justin Timberlake, che è un cialtrone e un truffatore, ma fa sorridere il bambino infelice, e lo fa sentire molto cool.

La storia di Zuckerberg, interpretato da Jesse Eisenberg come un genio al limite del'autismo, con una spaventosa fissità dietro la quale, come dietro il mondo virtuale di Matrix, si intuiscono vorticare numeri e dati, è raccontata con una velocità incalzante che costringe lo spettatore ad un'attenzione totale per non perdersi neppure un passaggio, ma anche per non sentirsi a sua volta escluso da un mondo di fronte al quale ci scopriamo quasi tutti troppo lenti. La tragedia del fondatore di Facebook è la sua mancanza di autoconsapevolezza , ben superiore al suo opportunismo, che lo fa diventare il più giovane miliardario d'America ma non riesce a farlo sentire un essere umano di valore.

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