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Arriva The Social Network. Martone e Fincher: due rivoluzioni tradite?

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Questo articolo è stato pubblicato il 12 novembre 2010 alle ore 21:32.

Fincher, Martone, i Vanzina, Jalongo e il remake di un film di Tornatore. E tanto per gradire Porco Rosso, che esce da noi con più di 15 anni di ritardo e, se mai servisse, ci ricorda che Hayao Miyazaki è il maestro assoluto del cinema d'animazione (lo dicono pure i giovani terribili della Pixar).

Di sicuro si deve cominciare da The social network- incredibile, esce in meno di 300 copie!- capolavoro senza se e senza ma: merito della regia di David Fincher, della sceneggiatura di Aaron Sorkin (quello, tra gli altri, di West Wing) che sa come trattare l'insidioso e interessante libro "Miliardari per caso" di Ben Mezrich (edito in Italia da Sperling & Kupfer), già autore di "Blackjack club", che al cinema è divenuto 21, di Robert Luketic. Merito di un Jesse Eisenberg che "deve" vincere l'Oscar, vista la prestazione maiuscola e difficilissima (lui è un bonaccione, molto più vicino al bel protagonista di Adventureland che a questo insopportabile Mark Zuckerberg). E il suo esempio viene seguito dagli altri coprotagonisti, dal belloccio Andrew Garfield, che interpreta l'ex migliore amico dell'inventore di Facebook, a Justin Timberlake che qui è Sean Parker, vulcanico e pericoloso inventore del file sharing musicale con Napster.

Fincher riesce a creare una sinfonia moderna di immagini, musiche (la soundtrack di Trent Reznor, Nine Inch Nails, è superlativa) e parole, pronunciate con una velocità di pensiero ed esecuzione clamorosa. Un film che ricorda la camaleontica intensità narrativa e visiva di Coppola, un film epico ed etico in punta di tastiera di cui si parlerà negli anni a venire. Perché si parla del social network che ha cambiato il mondo, e il modo di relazionarsi degli esseri umani, perché questo è un thriller emotivo giocato in un flashback che parte dalla sala riunione di uno studio di avvocati e finisce per essere un case history aziendale di straordinaria efficacia. Ed è la storia di un rivoluzionario moderno.

E' anche un film politico, infatti, quando mette Parker e Zuckerberg, anarchici e individualisti, nerd (ex) sfigati che non pensano ai soldi ma a rivoluzionare e rompere gli schemi: quelli del capitalismo, quelli dell'arte ormai industrializzata, quelli di una società e socialità sempre più perfida e virtuale.

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Giovani e intraprendenti. Jesse Eisenberg e Joseph Mazzello nei panni di Mark Zuckerberg e Dustin Moskovitz, in una scena del film «The Social Network» di David Fincher

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Capolavoro è anche Noi credevamo, di Mario Martone. Film completamente diverso, diviso in quattro grandi episodi del Risorgimento italiano, che sa però penetrarti e sconvolgerti con il suo rigore e il suo modo diverso di guardare la Storia, mettendo insieme un cast solidissimo (da applausi, primo tra pari, Valerio Binasco) e tre ore di grandissimo cinema. Vediamo i moti cilentani come la visione mazziniana, la spedizione dei Mille e il carcere dei martiri per l'ideale unitario di un'Italia che si vuole liberare, per raccontare un Sud che sogna la rivoluzione e scoprirà la colonizzazione cinica del nord. Il regista napoletano, autore della nouvelle vague, teatrale e cinematografica, della Napoli risorta degli anni '80 e '90, si mette in gioco parlando del passato ma guardando al presente- è evidente anche dagli anacronismi visivi ed "edilizi"-, guarda al nostro paese disastroso e disastrato per mostrarci la causa dei nostri mali e non, come sempre fanno intellettuali e politici, solo gli effetti. Solo 30 copie, nonostante il taglio di 40 minuti rispetto alla versione veneziana, ma è un film che va protetto. Dal pubblico stesso, che deve con la sua consapevolezza e il suo coraggio capirlo e sostenerlo.

Meno felice, invece la riuscita degli altri due film italiani in uscita. La scuola è finita di Valerio Jalongo, con Valeria Golino e Vincenzo Amato, e Ti presento un amico, con Raoul Bova e le bellissime Bobulova, Stella, Reilly e Felberbaum, pur molto diversi, sono uniti dalla loro incompletezza. Nel caso di Jalongo si fa fatica a capire cosa voglia: il film giovanilistico sulla strada del primo Muccino (senior), il film scolastico alla Luchetti (che è tra i cosceneggiatori), l'opera tra aule periferiche e pericolose alla Dangerous Minds. In verità la freschezza e il coraggio del concerto sopra la scuola occupata, una delle poche scene felici del lungometraggio, non si ritrova quasi mai in un film che risulta freddo e poco convincente in tutto il suo sviluppo. Non va meglio per la commedia dei fratelli Vanzina, che incredibilmente risulta scritta male e con sciatteria.

Si chiude con un capolavoro dimenticato- solo in Italia, strozzato dalla distribuzione negli anni '90 e ora recuperato da quella Lucky Red che negli ultimi anni non ne sbaglia una-, Porco rosso, il film più politico e ruvido di Miyazaki, animazione di guerra dai forti connotati, sia visivi che narrativi. Un gioiello che merita la sala, anche a tanti anni di distanza.
E torna in sala, infine, a suo modo, anche Stanno tutti bene. Ma non nella versione di Peppuccio Tornatore- a dir la verità è una delle opere meno riuscite della sua bella carriera, con un Mastroianni alla fine della carriera, gigione ma sempre efficace- ma nella versione americana di Kirk Jones. Ci si commuove, Robert De Niro si ricorda del talento perduto in vent'anni di film commerciali in cui troppo spesso è stato la parodia di se stesso, e sfodera un'interpretazione delicata e trattenuta che vale da sola il prezzo del biglietto, ben supportata dalle spalle, dai "figli" un po' degeneri Kate Beckinsale, Drew Barrymore e Sam Rockwell. Una parabola familiare, con qualche eccesso onirico di troppo, che ricorda ai padri il loro difficile, e forse impossibile compito. Da vedere, magari proprio in famiglia.

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