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Cultura-Domenica Musica

Il flamenco è patrimonio immateriale dell'umanità. Vota il chitarrista migliore

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 novembre 2010 alle ore 18:18.

Paco De Lucia torna in Italia: «Il segreto del mio flamenco? Arrivo al cuore del pubblico»

In principio furono il battito ritmico delle mani, il canto e la danza. Poi arrivò «lei», lasciò il segno, rubò addirittura la scena a tutto il resto. Se parli di flamenco il pensiero va subito alla chitarra, lo strumento che più di ogni altro caratterizza questo antico genere musicale così indissolubilmente legato alla cultura gitana dell'Andalucia.

Sia che eseguano mirabolanti assoli («falsetas»), sia che accompagnino il canto in un «compas» di sottofondo, quelle sei corde pizzicate con furore determinano l'essenza stessa di uno stile che con gli anni si è ritrovato a essere, suo malgrado, simbolo universalmente riconosciuto della Spagna. Do più: patromonio immateriale dell'umanità, come l'Unesco non ha esitato a definirlo. La chitarra flamenca sta alla musica popolare spagnola come quella elettrica sta al rock, come i fiati stanno al jazz e gli archi alla classica. Non c'è allora da stupirsi che i chitarristi migliori siano oggetto di venerazione in Patria.

Fu così per Francisco Rodriguez (1795-1848), eroe della sei corde iberica nella prima metà dell'Ottocento, per Paco el Barbero (1840-1910) e Paco el De Lucena (1855-1930) che all'inizio del Ventesimo secolo spianarono nuovi orizzonti allo strumento, mentre la gommalacca si affermava come supporto di riproduzione. È così oggi, con i brani più celebri che possono essere scaricati direttamente dalla libreria di iTunes, i blog a tema che duellano su quale artista possa fregiarsi della palma del migliore e i video postati su You Tube che illustrano virtuosismi memorabili. Perché incoronare il «top player» dell'evo contemporaneo non sarà affatto facile, ma è comunque uno sport troppo divertente per finire snobbato. Proviamoci anche noi.

Paco De Lucia è di sicuro il chitarrista di flamenco più noto al mondo e in tutta probabilità anche il più dotato. Per lui parlano una carriera quasi cinquantennale (il debutto discografico, con Los Chiquitos de Algeciras, risale ormai al 1963), l'eleganza esecutiva, il memorabile sodalizio con un altro mostro sacro come Camarón de la Isla, le avventurose collaborazioni con i vari Carlos Santana, Al Di Meola e John McLaughlin («Friday night in San Francisco» ha venduto qualcosa come cinque milioni di copie). Perfettamente in equilibrio tra tradizione e innovazione, come quando si cimenta con «Entre dos aguas».

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Tags Correlati: Alegrías | Andalucia | Carlos Santana | ITunes Music | Miguel Bosé | Musica | Organizzazione delle nazioni unite per l'educazione, la scienza e la cultura | Paco De Lucia | Paco el Barbero | Paco Peña | Rolling Stones | Spagna | Stati Uniti d'America | The Beatles | Vicente Amigo | Victor Monge

 

Chi in fatto di «falsetas» preferisce ambientazioni più classiche, avrà probabilmente il suo punto di riferimento in Manolo Sanlúcar, andaluso come De Lucia e di lui quasi coetaneo: compositore di notevole gusto, esecutore impeccabile. Come si fa a restare fermi mentre si ascolta la sua «Alegrías»? Molto legato alla lezione dei padri nobili della musica gitana per eccellenza anche Paco Peña che, in brani come «Soleares», rievoca le suggestioni della sua Cordoba.

Gli aficionados del virtuosismo più spinto troveranno pane per i loro denti negli esplosivi arpeggi di Serranito, alias Victor Monge, Premio Ramón Montoya nel 1971. Struggente quando si cimenta con la «Farruca». Da non confondersi con Juan Serrano, forse il primo chitarrista di flamenco a darsi una dimensione internazionale: non a caso nel '61 venne persino invitato negli Usa, per esibirsi all'«Ed Sullivan Show» che più tardi sarà il tempo della consacrazione di gente come Beatles e Rolling Stones. Memorabili performance come «Bulerias en La menor».

Vicente Amigo appartiene invece alla generazione immediatamente successiva (è nato nel 1967), di talento ne ha da vendere, unito a una sensibilità «jazzy» fuori dal comune. Tant'è vero che a un certo punto della sua carriera s'è messo a venderlo, come dimostrano le collaborazioni in ambito pop con Sting, Miguel Bosé e Khaled. Notevole l'intensità dei suoi fraseggi (valga come prova il «Bolero de Vicente»).

Che dire poi dell'ultimissima generazione di interpreti dello strumento? Segnatevi questo nome: Javier Conde. Il ragazzo è nato nell'88 e, al di là di doti tecniche senza le quali non sarebbe nemmeno possibile accostarsi al genere, possiede una sicurezza esecutiva degna di maestri. Il suo «Zapateado» testimonia che il flamenco, oltre a vantare un grande passato, a quanto pare ha davanti a sé pure un futuro importante. E sarà così fino a quando chi lo suona avrà almeno tre cose: una grande mano sinistra, una grandissima mano destra e un immenso cuore.

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