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La jihad con il mitra giocattolo. Al Torino film festival è il giorno di Four lions

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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2010 alle ore 22:06.

Se le vignette satiriche su Maometto, pubblicate nel febbraio 2008 da un quotidiano danese, crearono disordini con morti e feriti e incidenti diplomatici, è difficile immaginare le conseguenze di film corrosivo sull'estremismo islamico come Four Lions dell'inglese Chris Morris. La pellicola in concorso oggi al festival del cinema di Torino, che si conclude il 4 dicembre, creerà di sicuro del trambusto. Certo qui il Profeta non viene rappresentato in forme mefistofeliche con un candelotto nel turbante, ma è evocato invano e a sproposito da un gruppo di debosciati che giocano a fare la jihad.

Four Lions inizia con il set di un video a Londra in cui un terrorista rilancia la propria guerra santa contro gli infedeli, ma imbraccia un piccolo mitra giocattolo. Per farlo apparire più grande e più realistico possibile lo espone alla telecamera in primo piano assumendo pose contorte e ridicole. Già la prima inquadratura e lo scambio di battute fanno intendere la dabbenaggine dei quattro leoni, tre pachistani londinesi e un inglese convertito, che progettano un attentato nella capitale inglese. Il luogo è piuttosto incerto. La loro formazione passa per un campo di addestramento afgano, dove per sbaglio uccidono Bin Laden e la confezione maldestra di esplosivi, che farà saltare in aria uno di loro con una pecora, senza meritarsi pertanto la qualifica di martire.

Nella pellicola ci sono anche musulmani moderati, ma così ottusi che non possono stare nella stessa stanza dove respira una donna. Anche la polizia inglese e i media fanno la figura dei fessi: gli agenti irrompono e arrestano fedeli all'islam contrari al terrorismo, sbagliano bersaglio e quando i quattro leoni si fanno saltare in aria durante la maratona di Londra, travestiti da pupazzi, le televisioni ascolteranno la dietrologia di un pazzo che rivela che gli scoppi erano causati dalle marmitte di scooter. Dissacrante lo fu anche Il dottor stranamore per la guerra fredda, o quel Hitler chapliniano che giocava vanesiamente con una grande palla a forma di mondo in Il grande dittatore, ma certo Fuor lions tratta i jihadisti come dei perfetti deficienti, strappando qualche risata, in un contesto alla fine noioso. L'intento del regista di dimostrare che l'ideologia non vale nemmeno una morte e che solo cominciando a ridere delle nostre paure si batte il pregiudizio, era stato affrontato in maniera meno greve e più ironica da L'asse del male, un gruppo di cabarettisti arabo-americani formatisi dopo l'11 settembre, di grande successo negli Stati Uniti. Con la stand up comedy irridevano tutti i pregiudizi tipici, come le difficoltà incontrate all'aeroporto da chi si chiama Mohammad o Osama, da chi porta la barba lunga o il caftano. Il desiderio di ridere delle proprie paure e dei pregiudizi non è solo americano. Anche nel mondo arabo nessuno si perde una puntata di Watan ala Watar, una specie di Zelig alla palestinese in cui si irride Amas, Fatah, senza risparmiare alcun politico. Un tentativo di avvicinamento tra Occidente e Oriente sono poi I 99, supereroi che incarnano le 99 virtù islamiche. L'editore kuwaitiano al-Mutawa ha voluto creare una collana di fumetti che va a ruba, in cui i ragazzi arabi si riferiscono a modelli legati alle loro radici e alle loro credenze. Un islam secolare insomma.

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Duro, pieno di parolacce, sesso, alcol e invece Islampunk, l'ultimo romanzo di Michael Muhammad Knight, americano cristiano convertito all'islamismo, che racconta la saga di un gruppo di ragazzi musulmani osservanti in una comune punk-islamica a Buffalo. I ribelli pregano e conoscono a memoria il Corano, ma non rinunciano alla visione maledetta, tipicamente occidentale dei punk. Torino ha riserva sabato un'altra parabola islamica, farsesca ma con garbo: The infedel di Josh Appignanesi. Il film racconta la storia di un musulmano osservante che gestisce una cooperativa di tassì a New York. Ha una moglie e due figli, uno dei quali è fidanzato con la figliastra di un imam estremista. Proprio quando l'imam mette a prova la sua fede, che egli ritiene granitica, scopre di essere stato adottato e di essere ebreo. La dualità lo spinge a conoscere la religione d'origine, creando degli incredibili fraintendimenti di grande efficacia scenica. A prescindere o meno dal risultato, libri, film e cabaret ci insegnano che se di religione si muore, si può anche ridere. L'importante è farlo con rispetto.

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