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Al Torino Film Festival svetta l'indipendente «Winter's Bone»

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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2010 alle ore 22:06.

Una vera perla cinematografica scuote il concorso del Torino Film Festival: «Winter's Bone», pellicola indipendente americana, diretta da Debra Granik alla sua seconda regia dopo «Down to the Bone» del 2004.

Tratto dal romanzo «Un gelido inverno» di Daniel Woodrell, «Winter's Bone» ha per protagonista Ree, ragazza diciassettenne costretta a badare alla fattoria di famiglia e a prendersi cura della madre malata e dei fratelli minori.

Il padre, coinvolto in spaccio e produzione di droga, sparisce nel nulla dopo aver impegnato la fattoria per pagarsi la cauzione. Ree deciderà allora di mettersi sulle sue tracce per convincerlo a presentarsi al processo ed evitare che lei e la sua famiglia siano costretti ad abbandonare la casa senza sapere dove andare.

Ambientato nello sperduto altopiano d'Ozark in Missouri, il film è un ritratto spietato e glaciale di un'America marginale e abbandonata a se stessa, dove non sembrano esserci più regole e dove vige unicamente la legge del più forte.

Una fotografia fredda e distaccata trasmette ancor di più un senso d'inquietudine e smarrimento, all'interno di uno scenario visivo che ricorda quello di pellicole e romanzi post-apocalittici, come «La strada» di Cormac McCarthy, ma che invece è semplicemente la raffigurazione dell'America di oggi.

Notevolissima l'interpretazione della giovane Jennifer Lawrence nella parte della protagonista: dopo la buona performance in «The Burning Plain» di Guillermo Arriaga del 2008 (dove recitava accanto a Charlize Theron), si conferma una delle nuove attrici del cinema americano da tenere in grossa considerazione.
Così come la regista Debra Granik che riesce a gestire con maturità un'opera particolarmente complessa sia per forma che per contenuti.
Già vincitore del Gran Premio della Giuria all'ultimo Sundance Film Festival, «Winter's Bone» si candida prepotentemente fra i titoli favoriti alla vittoria finale della manifestazione torinese.

Risultati molto diversi dalla Granik sono quelli ottenuti da Gregg Araki, altro (seppur ormai ex) enfant prodige del cinema indipendente americano, con «Kaboom», la sua ultima fatica presentata a Torino all'interno della sezione «Festa mobile».

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Tags Correlati: Charlize Theron | Cultura | Daniel Woodrell | David Lynch | Debra Granik | Gregg Araki | Jennifer Lawrence | Joseph Gordon-Levitt | Smith | Stati Uniti d'America | Torino

 

Un'accozzaglia di situazioni assurde e surreali colpiscono il protagonista Smith, studente universitario bisessuale, che (nel mezzo di un cammino esistenziale in cui cerca di capire quale sia il senso della sua vita) si ritroverà a dover fronteggiare un complotto planetario con a capo il padre che credeva morto da tanti anni.

Se nella prima parte Araki porta avanti nuovamente le tematiche che hanno contraddistinto le sue opere degli anni '90 (come «Doom Generation» del 1995), nella seconda il suo stile cambia completamente, tentando di fare una sorta di parodia di alcuni sottogeneri fantascientifici.
Il modello d'ispirazione (come dichiarato dallo stesso regista) era la serie televisiva «Twin Peaks»: ma senza un'idea valida e un autore in grado di portarla fino in fondo, il paragone con l'opera di David Lynch appare quantomeno azzardato e utopistico.

Dopo il toccante «Mysterious Skin» del 2004, con il quale aveva fatto scoprire il talento dell'attore Joseph Gordon-Levitt, Gregg Araki sembra essersi decisamente perso alla ricerca di nuove declinazioni narrative che, invece di essere originali, appaiono soltanto superficiali e prive di quel tocco artistico che l'aveva portato in passato a essere apprezzato dalla critica di tutto il mondo.

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