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Questo articolo è stato pubblicato il 02 gennaio 2011 alle ore 14:54.

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Nel suk dei nativi digitaliNel suk dei nativi digitali

Addio al vecchio sapere lineare fondato sulla parola scritta e sulla trasmissione di conoscenza maestro-alunno: imparare oggi ha la forma di un suk arabo nell'ora di punta. Tra social network, video-racconti su YouTube, la musica di MySpace, il linguaggio sincopato delle chat e le bufale online, gli studenti di nuova generazione hanno bisogno di una bussola per orientarsi. Ma la scuola non c'è. O meglio, non ce la fa: a studenti 2.0 corrispondono spesso istituti scolastici da secolo scorso.

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Chi sono questi famigerati "nativi digitali" nati e cresciuti a rivoluzione Internet compiuta? Come ha scritto l'ex direttore del programma Comparative media studies dell' Mit di Boston, Henry Jenkins, la loro cultura è "partecipativa" e si fonda su "produzione e condivisione di creazioni digitali" e una "partnership informale" tra insegnanti e alunni che porta il bambino a sentirsi responsabile del progetto educativo. Il maestro non è più un trasmettitore di conoscenza ma un "facilitatore", che fa da filtro tra il caos della rete e il cervello del piccolo studente.

"Frequentano gli schermi interattivi fin dalla nascita", spiega Paolo Ferri docente di tecnologie didattiche e teoria e tecnica dei nuovi media all'Università Bicocca di Milano, "e considerano Internet "il principale strumento di reperimento, condivisione e gestione dell'informazione". È la prima generazione (che oggi ha tra gli o e i 12 anni) veramente hi-tech che pensa, apprende e conosce in maniera differente dai suoi fratelli maggiori.
"Se per noi imparare significava leggere-studiare-ripetere, per i bambini cresciuti con i videogames vuol dire innanzitutto risolvere i problemi in maniera attiva", spiega Ferri che studia e promuove da anni il "digital learning".

I bambini cresciuti con consolle e cellulare sono "abituati a vedere la risoluzione di compiti cognitivi come un problema pragmatico", aggiunge. Lynn Clark direttrice dell' Estlow International Center for Journalism and New Media dell'Università di Denver ha condotto un progetto di ricerca su 300 famiglie americane per capire come se la cavano con i media digitali.

"Grazie ai videogiochi, il sapere dei bambini si nutre di simboli, sfide e modelli sempre diversi di narrazione", spiega Clark che aggiunge: "quando le modalità di apprendimento scolastico sono simili a quelle di un gioco ci sono maggiori chances che gli alunni apprendano volentieri e in fretta". "Se qualcosa può essere visto, ascoltato, suonato, perché dovrebbe essere raccontato a parole?", si chiede Paolo Ferri.

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