Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 15 febbraio 2011 alle ore 18:24.
«Sono un viaggiatore, un antropologo. Anche questa volta sono spettatore del sasso lanciato in acqua, dove il sasso sono sempre io. Mi lancio in acqua e guardo che movimento fa l'onda». Disincantato, ironico, con quell'aria un po' così di chi è nato sul Lago di Como. Anche se la carta d'identità racconta che ha visto la luce a Monza, Davide Bernasconi, in arte Van De Sfroos, è interprete dello spirito laghée. «Perché sono venuto a Sanremo? Non lo so nemmeno io, la grande cosa cosmica è proprio questa: non so perché sono qui. Forse ho accettato perché a noi laghée piace ostentare un certo machismo ma siamo anche un po' pirla. E mi sono detto: se non vado, poi sto davanti alla televisione a chiedermi tutto il tempo come sarebbe andata se avessi detto sì…». E così, alla proposta di Mazzi e Morandi arrivata «davanti a polenta e coniglio», alla fine Davide quel sì l'ha detto. Rischiando critiche e strumentalizzazioni.
Le prime polemiche sul voto: Rai multata
Endrigo, Alice, Avion Travel. A Sanremo non solo canzonette. Ma l'amore vince sempre
«Ci sono tante di quelle persone che hanno avuto paura che fossi strumentalizzato… che sono arrivati loro stessi a controstrumentalizzarmi. E le notizie si ribaltavano su se stesse, mentre le mie canzoni, i miei testi, passavano sempre in secondo piano. E di me sui giornali si leggevano solo cose superficiali, vuote, inutili e un po' tristi. Passati quegli anni, mi sono abituato, ho capito che quelli che volevano capire avevano già intuito il mio percorso: me li trovo puntualmente sotto al palco, non importa se io sono sul Lago di Como, o nel Salento, o in Sicilia. E il linguaggio della canzone è più forte di quello dello scoop».
La sua Yanez è una canzone tutta in dialetto, senza sottotitoli. «Nel momento in cui vuoi ballare, devi ballare fino in fondo. Nel momento in cui vuoi fare quest'esperimento, devi avere il coraggio di farlo. E' il festival della canzone italiana? Signori, io dico, in Italia esiste della gente che parla così e io sono qui a rappresentarla. Vuol dire che c'è un'apertura di un'Italia che si vuole conoscere meglio e che si appassiona per le sue differenze, per le sue qualità, per le sue tante sfumature. Se invece tutto quello che va fuori dal piattume ci irrita, ci dà fastidio, ci fa appassire perché dobbiamo pensare, tradurre o leggere, andiamo avanti così… e un domani ci chiederemo come mai ci siamo ritrovati lì a ritrovare il tramonto mentre il mondo cambiava faccia senza di noi».