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Questo articolo è stato pubblicato il 07 marzo 2011 alle ore 17:23.

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Bruce Chatwin (Corbis)Bruce Chatwin (Corbis)

«Che ci faccio qui ?». Quante volte si ripete e si sente ripetere questa domanda, citando titolo e incipit dell'ultimo libro di Bruce Chatwin. Accade quasi sempre a sproposito. Per il gusto della citazione, per iniziare il racconto di un viaggio o sentirsi un vero viaggiatore nel momento in cui ci si trova in un altrove più o meno esotico. In realtà Chatwin si fa quella domanda in un letto d'ospedale, quando già sta morendo di Aids. "Che ci faccio qui ?" è il suo testamento culturale, una raccolta di saggi, articoli e racconti di viaggi che definisce la sua narrazione e il suo mondo, un ibrido di stili, modi di vivere, gusti, culture.


Ai confini del mondo

Tutto ciò si ritrova in "Under the Sun. The Letters of Bruce Chatwin" (Jonathan Cape, Londra in uscita in Italia da Adelphi nel 2012). E' la raccolta delle lettere di Bruce Chatwin, curata dalla moglie Elizabeth e dal giornalista-scrittore Nicholas Shakespeare. E' l'autobiografia di un uomo che disse di odiare le confessioni e spesso modificava la realtà a suo piacere, l'adattava a un'idea. Lo dimostra il titolo stesso di questo libro, "Under the Sun", sotto il sole. Come racconta il suo editore Tom Maschler, era un titolo che a Chatwin piaceva, anche se non aveva ancora scritto il libro cui darlo.

Il libro cui è toccato in sorte il titolo è bello. E', a tutti gli effetti, un libro di Chatwin, quello che avrebbe intitolato così. Si scopre qui che i suoi libri non sono molto diversi dalle lettere. Anche se, come annota Shakespeare, "la corrispondenza di Chatwin rivela molto più su di lui di quanto lui fosse preparato a raccontare nei suoi libri".

E' un libro di Chatwin perché è caotico. Ha scritto Hans Magnus Enzensberger nel "Times Literary Supplement": Chatwin è "un narratore che va ben oltre i limiti convenzionali della fiction assimilando nei suoi racconti elementi di reportage, autobiografia, etnologia, saggio, gossip...Non inventava storie, le connetteva, le allargava, le coloriva…Non dice una mezza verità, ma una verità e mezza". Secondo il critico Thomas Mallon, Chatwin "ha trasformato il racconto esotico, la narrazione di viaggio. Pur con la sua attenzione ai più vasti temi, il suo modo di rappresentarli era frammentare un grande scenario in schegge luminose, raccontare la storia attraverso reliquie umane viventi, persone che sembravano attendere lui con i loro racconti".

In una delle lettere Chatwin definisce questa forma letteraria come "Wonder Voyage", il "viaggio meraviglia". Si riferisce a "In Patagonia", ma possiamo adattarla a tutti gli altri libri: "Il narratore va in una terra lontana in cerca di uno strano animale. Sul suo cammino s'imbatte in strane situazioni, gente o altri libri gli raccontano strane storie che si sommano per formare un messaggio". Ecco perché il suo "messaggio" a volte appare vago. Soprattutto se è letto come fosse una guida. Paul Theroux, forse l'unico, vero scrittore di viaggi contemporaneo, amico di Chatwin, ricorda che una volta gli suggerì di dare maggiori informazioni, di essere più "clear", più chiaro, nel senso di preciso, nella sua narrazione. "Non credo nell'essere chiaro" gli rispose Chatwin. Una frase dove anche il significato di clear appare ambiguo: intendeva dire preciso, innocente, onesto, puro?

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