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Questo articolo è stato pubblicato il 07 marzo 2011 alle ore 17:23.

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Bruce Chatwin (Corbis)Bruce Chatwin (Corbis)

Nelle lettere di Chatwin si naviga a vista in un arcipelago di luoghi, storie e personaggi, perdendosi in un orizzonte apparente celato da contaminazioni, connessioni, coincidenze che a loro volta ne innescano altre (sconcertanti per chi, casualmente, abbia incrociato i propri percorsi con quelli di Chatwin). La vita di Chatwin fa venire in mente l'intreccio de "Il narratore Ambulante" di Mario Vargas Llosa, Nobel per letteratura nel 2010, e nelle lettere troviamo l'incontro con Vargas Llosa (e Borges, nella stessa occasione), quando scoprono d'aver visitato nello stesso mese lo stesso villaggio brasiliano, teatro di quel narratore.
"Se mai siamo dei viaggiatori, siamo viaggiatori letterari. Un'associazione o un riferimento letterario possono entusiasmarci quanto una pianta o un animale raro" scrisse in "Ritorno in Patagonia", che raccoglie la conferenza tenuta a due voci con Paul Theroux (autore di "Old Patagonian Express") alla Royal Geographical Society. Lui e Theroux sono divenuti tracce a loro volta.

Chatwin ottenne il successo con "In Patagonia". Dopo l'uscita de "Le vie dei canti" e "Che ci faccio qui?", dopo la morte, complice l'aspetto che l'ha fatto paragonare a Lawrence d'Arabia, fu trasformato in icona. Pur con qualche caduta di fama (nell'introduzione, Shakespeare cita un giovane giornalista che gli ha chiesto chi fosse Bruce Chatwin), il culto di Chatwin si manifesta in magliette, nei taccuini Moleskine (lanciati come replica di quelli di Chatwin, hanno generato un business globale), soprattutto nella generazione dei suoi seguaci e cloni.

I primi sono i "turisti per caso", quelli che si proclamano "viaggiatori" e cercano in Chatwin un'appendice alle guide Lonely Planet. In questo senso Chatwin ha creato dei miti nel mito. Come quello del dottor Ho Shi-Xiu, immortalato come "il medico taoista delle montagne del drago di giada". Sino a due anni fa viveva ancora nello stesso villaggio di Bai Sha, nello Yunnan, ormai attrazione turistica, continuando a recitare la sua parte con aria svanita. O quello di miss Lacey de "Le Vie dei Canti", l'australiana che intuì il potenziale dell'arte aborigena. In realtà si chiamava Harvey, era una vecchia e dolce signora, anche lei un po' svanita, che dirigeva la Arunta art Gallery & Book Shop nel centro di Alice Springs e ripeteva a tutti che miss Lacey era proprio lei.

I cloni sono quegli scrittori di viaggio che continuano a domandarsi "Che ci faccio qui?", che si mettono al centro della scena, raccontano il "loro" viaggio, in un'equivoca imitazione di Chatwin. Dal canto suo Chatwin ha sempre rifiutato la definizione di travel writer e in una lettera lamenta "la sempre più numerosa orda degli scrittori di viaggio". Ancor più ha preso le distanze dal protagonista-viaggiatore. Lui si teneva al di fuori della scena: per studiarla e dirigerla. Lo dimostra la sua ossessione per "il" libro mai finito né abbandonato, "The Nomadic Alternative", saggio sul nomadismo come stato naturale dell'uomo. In una delle lettere ne fa una sinossi. Sono nove capitoli di estrema complessità, forse troppa. E' per questo che il libro, come ammette, divenne una giustificazione alla fuga. Quella complessità spiega anche perché Chatwin, quando viaggiava davvero, quando si calava nella parte del nomade, viaggiava da solo. "Era un lonely traveller, un viaggiatore solitario, ma odiava stare da solo" scrive la moglie Elizabeth. Se avesse diviso il cammino con altri, non avrebbe potuto seguire le mille tracce in cui lo conduceva la sua curiosità di collezionista culturale. Né avrebbe potuto mascherarle o trasformarle.

Nell'introduzione a "Under the Sun", Shakespeare descrive Chatwin come "un precursore di Internet: una superautostrada di connessione senza confini con accesso immediato a differenti culture". Irrilevante chiedersi se e come Chatwin si sarebbe adattato ai nuovi strumenti, se avrebbe sostituito la Moleskine con un laptop. Del resto "Under The Sun" è oggi reperibile ovunque e subito come e-book. Internet, probabilmente, sarebbe stato lo strumento ideale per uno come Chatwin. Non per mettere online le sue storie, secondo un uso che ha trasformato la rete nella versione planetaria delle proiezioni di diapositive. Ma per avere a disposizione un'immensa, labirintica biblioteca di Babele. La rinascita del racconto di viaggio potrebbe accadere così: riprendendo e amplificando il suo "caotico" stile. E' il messaggio che conta.
Che ci faccio qui? Alla fine, in tutti gli altrove che non fossero un ospedale, Chatwin lo sapeva benissimo quel che ci stava facendo.

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