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Questo articolo è stato pubblicato il 03 aprile 2011 alle ore 08:22.

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Illustrazione Guido ScarabottoloIllustrazione Guido Scarabottolo

Eraclito, detto l'Oscuro, in realtà sapeva produrre pensieri a dir poco adamantini. Per esempio: «Se tutte le cose andassero in fumo, le nostre narici imparerebbero a distinguerle l'una dall'altra». Chiaro, no? Se ne volete una dimostrazione puntuale, estesa a tutti i sensi, la troverete nel lungo viaggio che il neuroscienziato Lawrence Rosenblum ci propone in Lo straordinario potere dei nostri sensi. La cui tesi di fondo non dovrebbe sorprenderci più di tanto, almeno da quando Giacomo Rizzolatti ha dimostrato la plasticità, anche in età adulta, del nostro cervello: tesi che spiega perché i nostri sensi cooperano in continuazione, si influenzano a vicenda, compensano reciprocamente le loro eventuali deficienze, come se fossero costantemente al servizio di un sesto senso, quello che ci permette sempre e comunque – nella vita di ogni giorno o in situazioni estreme – di orientarci nel mondo. Udendo o annusando forme, toccando parole, assaggiando odori.


Rosenblum lo ha provato in prima persona. Immaginatelo carponi, con dei grossi guantoni da lavoro e perfettamente bendato, procedere per il prato all'inglese di fronte al suo dipartimento mentre cerca di seguire, guidato solo dall'olfatto, un lungo nastro che odora di menta. L'esperimento, eseguito di fronte allo sguardo stupefatto dei colleghi del campus, è perfettamente riuscito. Rosenblum ora sa di avere un vero olfatto "da cani". Per quanto le narici umane siano capaci di una sola annusata al secondo, contro le sei di un qualsiasi Fido, il cervello di sapiens sapiens è in grado di sopperire a questa manchevolezza per raggiungere il suo obiettivo.


«Le più recenti ricerche di psicologia percettiva e scienza del cervello hanno svelato che i sensi colgono informazioni sulla realtà che in passato si riteneva fossero a disposizione solo di altre specie animali. Gli esseri umani possono usare l'udito come i pipistrelli, l'olfatto come i cani e il tatto come gli insetti, e lo fanno costantemente». Dobbiamo dunque fidarci dei nostri sensi. A loro dobbiamo una grossa percentuale di ciò che conosciamo, anche se non ne siamo coscienti. La spiccata sensibilità sensoriale di chi è affetto da un handicap è allo studio da decenni, ma solo di recente la neuroscienza, con l'ausilio degli strumenti di neuroimaging, ha messo a fuoco il "perché" di questi poteri apparentemente straordinari. È qui che troviamo il fenomeno della "plasticità neurale", che consiste nella facoltà delle varie aree sensoriali del cervello di cambiare la propria funzione se è presente un deficit di qualche tipo: se ad esempio un soggetto è affetto da cecità cronica, allora il suo cervello visivo "presta" il suo potenziale all'area della tattilità (corteccia somatosensitiva) ed è così che un non vedente dalla nascita, o anche divenuto cieco da poche settimane, finisce col possedere una sensibilità tattile di gran lunga maggiore rispetto a un vedente, e ciò grazie a questa compensazione sensoriale. «Il cervello può cambiare la propria struttura e organizzazione in base all'esperienza. Il suo livello di neuroplasticità è una sorpresa elettrizzante per una scienza che a lungo ha dato per scontato che, una volta matura, la struttura del cervello cambiasse poco».


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