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Questo articolo è stato pubblicato il 04 aprile 2011 alle ore 12:36.

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Talenti e idee, che design saràTalenti e idee, che design sarà

Programmaticamente ottimista, tendenzialmente di buon umore, sostanzialmente lieve; utile, certo, messo in gioco per assolvere funzioni, ma non solo; che accetta volentieri di occuparsi anche di piccole cose, che non disdegna di sporcarsi le mani con sperimentazioni pure, che accarezza il sogno di «rivoluzioni fatte senza che nessuno se ne accorga», come suggeriva il maestro dei maestri Bruno Munari. Ecco cosa è oggi il design italiano, fotografato in un momento di delicato passaggio, e in vista di un appuntamento, quello del Salone internazionale del mobile, che ci ricorda che Milano è, almeno per qualche giorno, davvero imprescindibile per chiunque si occupi di design, in un momento in cui – dopo una generazione di mostri sacri e forse dopo il salto di quella successiva (con ovvie eccezioni), oggi si prosegue con promesse, certezze, speranze.

Un design fatto da giovani autori che cercano strade ovunque, lavorando sull'innovazione tipologica, sulla sperimentazione tecnica, sull'attenzione al riciclo e all'impatto ambientale, sull'invenzione pura da ufficio brevetti, sulla ricerca più libera. Gente che si è allenata, e formata, tra mille difficoltà e che forse proprio per questo risulta straordinariamente motivata, e forte, e capace. Gente che non ha molto da invidiare ai tanti nomi internazionali che hanno – qui in Italia – una gran fortuna (in molti casi, va detto, strameritata, come Konstantin Grcic, Fernando e Humberto Campana, Hella Jongerius, Jasper Morrison, Ronan ed Erwan Bouroullec, Martí Guixé eccetera), e che se fosse messa nella condizione di crescere ancora potrebbe raggiungere i record di questi colleghi stranieri (come ha fatto Fabio Novembre, unica nostra star di questa generazione). Perché abbiamo autori ormai maturi che hanno già ottenuto risultati importanti, come Giulio Iacchetti, Gabriele Pezzini, Matteo Ragni, Odoardo Fioravanti; abbiamo sperimentatori instancabili come Lorenzo Damiani, Carlo Contin, Nucleo, Massimiliano Adami, Martino Gamper, JoeVelluto, Gumdesign; abbiamo poeti veri e sognatori come Donata Paruccini, Enrico Azzimonti e Miriam Mirri; progettisti raffinatissimi come Diego Grandi, e gente che già oggi sembra diventata imbattibile, come Luca Nichetto.

Gente che è cresciuta seguendo l'esempio di alcuni fratelli maggiori (come Marco Ferreri, Fabio Bortolani, Giovanni Levanti e Paolo Ulian) che avevano percorso in anticipo queste stesse strade, che non avevano cercato solo il "mercato", che avevano mantenuto alto il testimone della lezione dei grandi maestri. Gente che ha imparato da Ettore Sottsass che la presenza scultorea di un oggetto è importante quanto la sua funzionalità; che progettare vuol dire calibrare misura ed equilibrio, Vico Magistretti docet; che utilizzando i nuovi materiali in modo intelligente è possibile arrivare a progetti realmente innovativi, come ha sempre fatto Angelo Mangiarotti; che gli oggetti possono avere più funzioni, e così più anime, come dimostrava Achille Castiglioni; che si può procedere con levità, humour e sana irriverenza, come faceva Bruno Munari; che si possono raccontare piccole storie ma eroiche, come fa Enzo Mari. Cercando di aggiungere, sempre e comunque, un po' di ossigenante poesia, sapendo che Alessandro Mendini li guarda, lucido e attento. Alcuni di questi nuovi autori hanno vissuto la felice palestra del SaloneSatellite (dove da ormai quindici anni l'inesauribile energia di Marva Griffin catalizza le giovani speranze del design internazionale e le accompagna nelle mani degli imprenditori più curiosi e attenti), alcuni sono andati a bottega da qualche buona guida, altri ci stanno andando, altri non ci andranno mai perché sono sostanzialmente autodidatti.

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