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Questo articolo è stato pubblicato il 10 aprile 2011 alle ore 14:45.

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Jonathan Franzen (Afp)Jonathan Franzen (Afp)

Una curiosità. Dopo le prime trenta pagine, la voce narrante di Libertà passa da Franzen a Patty che, incoraggiata dalla sua terapista, scrive un'autobiografia, ma in terza persona. Per due pagine sembra che il tono del libro si sia alleggerito, ma poi torna quello di sempre. Le voci della jock Patty e dell'intellettuale Franzen risultano assolutamente uguali, efficacissime nella descrizione delle superficie e delle abitudini, molto meno nel convincerci che valga la pena seguire le vicissitudini dei personaggi.

Con fretta quasi indecente il «New York Times» ha proclamato Libertà «un capolavoro della fiction americana». In Inghilterra, «The Guardian» non ha nemmeno aspettato di leggere il libro per dedicargli un articolo in prima pagina dichiarando Franzen «il solo autore che potrebbe rinnovare la nostra fiducia nel romanzo letterario». In viaggio ad Amsterdam durante la settimana della pubblicazione inglese di Libertà, ho constatato che la vetrina della principale libreria internazionale della città era interamente dedicata al romanzo.

Che gli americani decidano di canonizzare in fretta e furia un loro scrittore, non vedendo il divario tra Franzen e, per esempio, Roth o Updike, è affar loro. Ma che in Europa, vuoi per sudditanza, vuoi per ragioni commerciali, o forse solo per una vaga ansia di dover capire l'America a tutti i costi, ci si accodi a questo giudizio senza riflettere, è sconfortante

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