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Questo articolo è stato pubblicato il 15 aprile 2011 alle ore 16:11.

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Lino guanciale (Marcello Norberth)Lino guanciale (Marcello Norberth)

Nel testo, tra l’altro, Arturo Ui va a lezione di portamento e di oratoria da un vecchio attore, fanatico scespiriano, perché comprende che non basta la violenza per fare carriera e avere il consenso delle masse.

La propaganda vive di queste apparenze, vive di linguaggio e di strumentalizzazione di esso. Studiando per questo spettacolo mi ha molto impressionato leggere alcune note agghiaccianti di Hitler sulla propaganda. Affermava che la propaganda significa avere tra le mani il cuore della gente. E per far questo, considerando che l’intelligenza della massa è ridotta e la sua capacità di concentrazione limitata, occorre martellarlo con tre o quattro informazioni che lo esasperino e lo esaltino allo stesso tempo, per fargli fare quello che si vuole.

C’è un’altra frase che attualizza in maniera inquietante il valore negativo a livello storico: “Il grembo da cui nacque è ancora fecondo”…

La tesi di Brecht, e non soltanto, è che ogni forma di fascismo, nazismo, di reazione violenta o discriminatoria, sia fiorita in realtà dal modello economico e sociale fornito dall’allora capitalismo imperialista. E oggi viviamo in un mondo con un modello culturale ed economico non dissimile da quello in cui viveva Brecht, con dei punti in comune congiunturali impressionanti.

Lo spettacolo ha una dimensione da musical, dove il drammatico sfuma continuamente nel divertimento. Forse il modo migliore per far passare una riflessione, un messaggio?

Direi di sì. Brecht ha elaborato la sua teoria sullo “straniamento” proprio a partire dall’analisi che, considerando l’inutilità di un certo teatro naturalista, serviva inserire degli shock all’interno del continuum della rappresentazione che svegliassero di volta in volta la coscienza del pubblico. Inoltre bisogna aggiungere la riflessione che proprio sull’Arturo Ui Brecht faceva, e cioè che «la tragedia spesso prende le sofferenze degli uomini più alla leggera di quanto non faccia la commedia». Sicchè per riuscire proficuamente a confrontarci su quanti sono gli aspetti più duri della nostra realtà, è necessario alternare a momenti di grande drammaticità altri in cui il comico è usato come strumento di comprensione.

La risata in Brecht arriva alla fine della comprensione di qualche cosa. Si ride perché si è capito un nesso, un meccanismo…

E dunque l’alternanza di pedali tra il comico e il drammatico ci è sembrata la chiave più giusta, anzi, il riferimento a cui tendere per l’allestimento di un testo che vive proprio di grottesco, di alternanza tra momenti caricaturali e momenti più veri e diretti. È tutto tratto dalla poetica brechtiana con la quale, sia Longhi registicamente, che noi attori idealmente, Luca Micheletti anche come dramaturgo, e io in veste più pedagogica, ci riconosciamo appieno.

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