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Questo articolo è stato pubblicato il 17 maggio 2011 alle ore 13:38.

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Paola Lavini nel cast di "Corpo celeste" film d'esordio di Alice RohrwacherPaola Lavini nel cast di "Corpo celeste" film d'esordio di Alice Rohrwacher

Una Quinzaine meno esaltante del solito - e usiamo un elegante eufemismo, almeno dopo aver visto l'improbabile «The Island con Laetitia Casta - viene illuminata dal «Corpo celeste» di Alice Rohrwacher. Sorella di Alba, al suo esordio si mostra subito come una cineasta raffinata e coraggiosa. Il film, infatti, è notevolissimo, per contenuti e forma.

Ambientato a Reggio Calabria, racconta il passaggio all'adolescenza di Marta (Yile Vianello, bravissima), tornata dall'estero con la sua famiglia tutta al femminile. Marta si muove con grazia selvatica e curiosità disorientata in un mondo grottesco e bigotto in cui tutto sembra girare attorno a una religione venduta al migliore offerente, dal prete (Salvatore Cantalupo, già eccellente in «Gomorra») che la baratta con voti politici per la sua ambizione personale, alla cathechista-perpetua (Pasqualina Scuncia, inquietante personaggio chiave nell'economia dell'opera) che ha ideato la hit spiritual trash «Mi sintonizzo con dio» come strategia di marketing della fede.

La vita di una chiesa di periferia
Lo fa conducendo noi spettatori in un inferno fatto di persone comuni, in un deserto materiale e dell'anima in cui tutti si affannano in girotondi privi di senso. Il film, nato dall'incontro felice tra il bravo produttore Carlo Cresto-Dina e la regista, si fonda su una sfida: il primo ha proposto tre argomenti alla seconda. Quest'ultima ha scelto la Chiesa come oggetto di approfondimento creativo, «quello che forse meno mi riguardava, ma più attirava la mia attenzione. Spalancai subito gli occhi, come avrei fatto per un documentario» si legge nelle note di regia. Una sorta di gioco, le cui regole erano i limiti posti dal «luogo, Reggio Calabria, e quelli del tempo contemporaneo e di un mondo, la vita di una chiesa alla periferia d'Italia».

Una felice intuizione
Un'intuizione felicissima che ha portato questa donna, neanche trentenne, a realizzare un lungometraggio tra i più felici degli ultimi anni. Un lavoro che pone tante domande e che nasce da esse. «Qual era il mio posto? Ero dentro quel mondo o non lo ero mai stata? Aveva senso fingere un'appartenenza oppure dovevo chiarire il mio stupore, la mia estraneità?».

Così la lettura del libro «Corpo celeste» di Anna Maria Ortese diventa un'ispirazione, uno spunto narrativo e di riflessione, il film cammina da subito sulle proprie gambe allontanandosi dall'opera letteraria. Alice Rohrwacher è Marta, ma dietro la macchina da presa: quella bambina che sta crescendo e si rivela subito unica, per la ricerca ostinata di una strada, della sua strada nella vita. Quella che la porta a muovere passi ovunque, a fare scelte, a camminare oltre, come nella scena dell'autostrada o nel finale, forse troppo evocativo ma sicuramente efficace.

«Corpo celeste» è emozionante perché in un contesto apparentemente marginale ed eccessivo, ci porta nel nostro presente, nelle sue contraddittorie meschinità. La Rohrwacher, con coraggio, ci mostra un ritratto di ordinaria (dis)umanità che è il nostro presente, avvilente, ottuso, fatto di convenzioni che dovremmo fuggire e sopportiamo e supportiamo con irritante rassegnazione. Ma non lo fa Marta e neanche Alice Rohrwacher che, così, fa un film emotivo, asciutto e persino inevitabilmente politico.

Tocca tabù che altri neanche sfiorano - cos'è la Chiesa, ora, nella nostra società? Un contenitore vuoto come gli edifici ecclesiastici che perdono fede e fedeli? - non si ferma davanti all'imbarazzo di una realtà deprimente. Scova in Pasqualina Scuncia, la catechista Santa, un ritratto di donna illuminante e preoccupante che rimarrà probabilmente per anni come uno dei personaggi più disturbanti del cinema italiano. «Corpo celeste» è un film speciale, diverso, di quelli che possiamo trovare raramente nel nostro panorama culturale ormai asfittico. Per questo dovremo proteggerlo e difenderlo, così come dovremo fare con la sua regista.

La famiglia Rohrwacher ci ha dato forse la migliore attrice che abbiamo e una cineasta che dobbiamo seguire con attenzione. Il rigore e la lucidità con cui quest'ultima racconta la sua storia sono qualità preziose, fondamentali per ricostruire una Settima Arte italiana che sappia guardare oltre se stessa. Un «Corpo celeste» che brilla proprio perché ha il coraggio di guardare nelle ombre, nel buio di una civiltà decadente.

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