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Questo articolo è stato pubblicato il 17 maggio 2011 alle ore 22:16.

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(AFP)(AFP)

Due ore di accuse. Josh e Rebecca Tickell raccontano l'atroce disastro ecologico del 22 aprile 2010, la peggiore marea nera della storia, quella della Deepwater Horizon.

Una catastrofe che ha mietuto, miete e mieterà una quantità incalcolabile di vittime- quasi tutta la fauna marina della zona, 5000 delfini, un bacino di morte che coinvolge almeno 5 milioni di persone- e di cui i due coniugi cercano i veri responsabili. Il documentario è vecchio stile, quel tipo di film americano che per tutta la sua durata non accetta cali di ritmo, organizza una montagna di informazioni e le propone- e in qualche caso le impone- allo spettatore.

Una mole inquietante di informazioni e deduzioni che spara a zero su tutti e in particolare sulla BP, ovviamente, di cui volutamente vengono trascurati i dilettanteschi e fallaci tentativi di metterci una "pezza" meccanica per intuirne e sbugiardarne i legami politici, le colpe ataviche, la strategia industriale assassina.

Parlano a ragion veduta i due: lei, nelle loro ricerche, ha sviluppato una fotosensibilità che le impedisce di esporsi al sole e problemi respiratori. E questo per poche decine di minuti di sopralluogo nella zona colpita dalla marea di petrolio.

The Big Fix, però, non è solo il racconto di una tragedia annunciata ma anche la mappa politico-economica dell'America moderna, è l'accusa senza se e senza ma all'ultimo secolo di governo, locale e federale. E così persino il totem Barack Obama, finora in luna di miele con il cinema, viene messo all'indice, definito addirittura come "uguale a Bush, se non peggiore".

Aldilà di una dietrologia che nell'ultima mezzora del film assume contorni un po' grotteschi, i Tickell fanno un lavoro ammirevole: ci raccontano di come la Louisiana, regione piccola ma depositaria dell'area di piattaforme petrolifere più densa del paese, "non sia mai stato uno stato vero e proprio, ma una colonia petrolifera".

Disegnano, i due, la geografia degli interessi che sono andati da Browne ad Hayward- i boss della BP che l'hanno definitivamente instradata verso una cinica e imprudente ricerca dei profitti-, ci raccontano, ad esempio, che la società in questione ha un suo 25% in mano alla JP Morgan, il cui presidente è amico e sostenitore dell'attuale presidente degli Stati Uniti. E quest'ultimo ha le mani legate anche perché la BP è rifornitore esclusivo del Pentagono. Scopriamo che morti eccellenti cospargono di sangue la marea nera, dal governatore della Louisiana che fin dal 1919 voleva nazionalizzare il petrolio (e per questo prima subisce una persecuzione giudiziaria, poi nel 1936 viene ucciso) fino all'esperto che rivela come il rimedio della società alla catastrofe, forse, sia peggiore del male. Cinque giorni dopo annegherà nel suo bagno. Ci racconta del Corexit, il rimedio in questione, utile solo a nascondere sotto un tappeto di 1000 metri di oceano il petrolio, per non farlo vedere in superficie- "camuffa, ma non risolve"-, e che altro non è che il prodotto di punto della Nalco, una consorella.

Qualsiasi, insomma, sia il modo di giudicare la politica energetica statunitense e occidentale, in un momento come questo in cui si dibatte delle energie rinnovabili ma si continuano a proporre quelle più pericolose o a tempo determinato (dal nucleare al petrolio, appunto), The big fix non può non risultare come un documento straordinario, nonostante le sue semplificazioni, nonostante quella sinistra apocalittica che compare nelle parole di qualche attivista, nonostante Tien an Men, Tunisia, monaci tibetani e persino i samurai nucleari del Giappone colpito dallo tsunami nel confuso finale finiscano per togliere qualcosa al rigore del lavoro, politicamente e cinematograficamente.

I Tickell ci dicono che la presenza di 100.000 lobbisti a Washington, il fiume di denaro verso i senatori da parte delle compagnie energetiche, sono pezzi di un puzzle molto più ampio e che crisi finanziaria e disastri ecologici hanno molti più legami di quelli che siamo disposti ad ammettere. Che persino il Nobel Obama, nel momento più critico della sua campagna elettorale, ha attinto a quei fondi legali, ma inopportuni, a cui ora è costretto a pagare dazio con una politica contraria a quanto promesso.

Tanta carne al fuoco, a volte troppa, che parte da una domanda semplice e inquietante. "Ci dicono che Fukushima è uno di quegli avvenimenti che capitano una volta ogni 35000 anni. Eppure nel nostro mondo, siamo già alla terza tragedia conosciuta di questo tipo in soli 35 anni: ci siamo forse dimenticati di Cernobyl e Three Mile Island?". No, perché ancora oggi provocano morti e deformazioni.

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