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Questo articolo è stato pubblicato il 19 maggio 2011 alle ore 19:58.

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L'exercice de l'Etat: a Cannes i francesi riportano in scena la politica e il potereL'exercice de l'Etat: a Cannes i francesi riportano in scena la politica e il potere

Diciamocelo subito, un film come «L'exercice de l'Etat» - pubblicizzato qui alla Croisette con il geniale megacartellone in cui una donna sta entrando, nuda, in un coccodrillo - varrebbe la pena vederlo anche solo per la coppia di attori che si spalleggiano e sfidano sulla scena: Olivier Gourmet e Michel Blanc. Due pezzi da novanta, talento e professionalità da vendere, interpretano l'immaginario ministro dei Trasporti francese Bertrand Saint-Jean e il suo segretario di gabinetto.

Due indicazioni chiare ci dà il film di Pierre Schoeller: la Francia indaga sulla sua politica e sul potere con profondità e varietà di stili; il Certain Regard, come già negli ultimi due anni, ci sta offrendo il meglio della selezione festivaliera (si pensi anche a Gus Van Sant e Nadine Labaki). «L'exercice de l'Etat» è poi inquietante per il parallelismo con la storia de La conquete, passato il giorno prima, e allo stesso tempo per la diversità del tono del racconto.

Quanto il bipioc su Sarkozy è grottesco, eccessivo, brillante, televisivo (il mezzo tv è centrale nel racconto oltre che nell'estetica) tanto questo lungometraggio è cinematografico, legato alle dinamiche del potere delle stanze dei bottoni, agli accordi e ai compromessi, alla realpolitik, a un'estetica cinematografica e a un'etica della politica di professione. Nell'uno e l'altro film, però, ci sono dei nuovi arrivati: Nicolas, personaggio vero, e Bertrand, nato dalla finzione, condividono un background atipico, una vocazione al popolare e al populismo, un'aggressività ambigua, una fragilità umana a intermittenza. La Francia non ha demoni, non ha bersagli pregiudiziali e così riflette più ampiamente sul potere e qui a Cannes questo sguardo sul potere, come entità e (quasi) mostro corruttore e avvolgente, sembra aver trovato due occhi complementari nei registi Durringer e Schoeller.

Interessante è, ne L'exercice de L'Etat, la struttura di fiction estremamente realista: Saint-Jean ha appena vinto la battaglia della Tav Lilla-Torino nel film, e si trova per le mani la patata bollente delle privatizzazioni. Due dei temi più caldi del nostro presente. Da film politico diventa un melodramma, il protagonista vive contraddittoriamente un'esistenza fondata sullo stato di continua emergenza, su battaglie giocate con la parola e il tempismo delle decisioni, unisce lampi di profonda generosità e sensibilità umana a un cinismo raro. Soffre e combatte. E' la politica, appunto, ma come al cinema raramente abbiamo visto.

Quello che ci dicono entrambi i film è che vedere il potente, il governante come un nemico da abbattere oltre che far male alla democrazia, non aiuta il vivere civile. E' invece umanizzandoli che, forse, si capiscono la quantità di pressioni a cui vengono sottoposti quelli che, nonostante la spregiudicatezza e l'ambizione, rimangono padri di famiglia, mariti, uomini (o madri, mogli, donne). Si riflette su come sia il potere, spesso, a cambiare le persone, e non il contrario. Si pensa, però, anche al grande paradosso di una società che inneggia alla democrazia e pratica l'oligarchia elitaria, proprio partendo dai giochi della politica. E' evidente nel calvo Gilles (Michel Blanc), impossibile da trovare antipatico e allo stesso tempo ingranaggio inevitabile del meccanismo, nonostante la sua integrità. Uno che potrebbe tradire il suo migliore amico - perché sa che lui farebbe lo stesso - e si sente Malraux a casa, al posto della musica.

Tutto è sacrificabile sull'altare dell'interesse privato che diventa nazionale - e viceversa- e «L'exercice de l'Etat» ci dice proprio questo, fin da quel titolo che con la parola esercizio indica un diritto, un dovere ma anche una prova faticosa. Un dramma denso di emozioni e riflessioni l'opera di Pierre Schoeller, che ci permette di andare oltre le faziosità per capire meglio cosa succede ai piani alti. Quelli che la maggior parte degli spettatori non conoscono, perché tagliati fuori da quella stessa democrazia che formano.

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