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Questo articolo è stato pubblicato il 22 luglio 2011 alle ore 15:25.

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Wynton Marsalis (Corbis)Wynton Marsalis (Corbis)

Avete mai visto una funzione religiosa che si apre con l'offertorio? Se il rito da officiare ha a che fare con l'umanità creola del Sud degli States, i campi di cotone e lo spirito più profondo e autentico della musica classica nera, allora può succedere.

È successo per esempio al Ravello Festival dove Wynton Marsalis, forse ultimo grande sacerdote votato tromba alla jazz, ha portato i quattordici elementi della Lincoln Center Orchestra al culmine della tournee italiana: il live act s'è aperto con «Offertory», una gran marcia che lo stesso Marsalis ha scritto tenendo l'Abyssinian Baptist Church di Harlem in mente e le lezioni del Duca e del Conte nel cuore.

L'esecuzione esprime al meglio lo spirito della serata: si parte macinando swing tutti insieme, come se si trattasse di infornare carbone in una locomotiva che scalpita, si arriva a un lungo solo del band leader che marca con grande personalità i territori dell'hard bop. Quasi a dire: cari ascoltatori, siamo qui per rendere omaggio alla tradizione senza negarci un po' di sano sperimentalismo. Non a caso nella prima parte dello show Marsalis andrà avanti alternando il verbo immortale di Duke Ellington (prima «Mood Indigo», poi una intensa versione di «The Mooche») alle atmosfere vagamente free di Chick Corea (una «Matrix» che vede il trombonista Elliot Mason in gran spolvero) e Herbie Hanckock («The riot», dove a dettare legge è il sassofono alto del massiccio Sherman Irby).

Tra un pezzo e l'altro, gag improvvisate tra il trombettista e il sax tenore Walter Blanding, nelle vesti di improbabile interprete inglese-italiano. Repertorio di Ellington grande protagonista anche nel secondo set, tra una versione funambolica dello swing «Braggin' in brass» e l'intimismo della «Queen's suite» che il grande compositore afroamericano dedicò a Elisabetta II. Qui tocca al sax baritono di John Temperley guadagnarsi la ribalta. Vero e proprio atto d'amore per la musica i circa venti minuti di jam che Marsalis propone come bis: ci sono dentro swing, be-bop e samba nelle giuste dosi, poi tutto si scioglie nell'ammiccante blues «I want to take my time» che il band leader va a cantare al microfono. Una «benedizione».

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