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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2011 alle ore 19:46.

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Darine Hamzé (Ap)Darine Hamzé (Ap)

Locarno è donna. E non è qualcosa che si possa dire frequentemente dei grandi festival, spesso volutamente o inevitabilmente maschilisti. Lo si è capito fin da Beirut Hotel, nel Concorso internazionale della 64ima edizione della rassegna ticinese, diretto da Danielle Arbid e interpretato da colei che ha già conquistato i cuori dei locarnesi: Darine Hamzé, sorta di Bellucci mediorientale che riempie di sé una strana opera che guada in un fiume impetuoso e dalle correnti contrastanti qual è il Libano.

Due donne che su una riva trovano una storia d'amore appassionata e potente, sull'altra una spy story molto reale. Tanto vera che alla fine perdono tutti. Un film anche acerbo, a suo modo, estremamente frammentato nelle sue sensazioni e intuizioni, che non soddisfa del tutto ma che allo stesso tempo lascia dentro qualcosa. Soprattutto quel disagio di incontrare un paese che solo i suoi abitanti conoscono a fondo. E non è detto, se è vero che il bonario "cattivo" del film racconta l'aneddoto di un collega che dietro la sua scrivania ha un cartello con su scritto "Se pensate di aver capito tutto del Libano, siete stati mali informati". Era inevitabile, forse, che un lungometraggio del genere dovesse essere imperfetto.

Potente, strano e straniante, invece, Headhunters, una delle belle sorprese della Piazza Grande. Film maschile e maschilista, a dir la verità, romanzo di distruzione e rinascita di un uomo di fronte a una nemesi che non pensava di affrontare. La storia è quella di un benestante cacciatore di teste, sposato a una meravigliosa gallerista d'arte -Synnove Macody Lund, critica cinematografica e attrice quasi per gioco: la sua avvenenza l'ha fatta entrare tra le regine di questo esordio festivaliero-, ma per tenere in piedi la sua vita e il suo amore, ruba. Opere d'arte. Troverà uno più infame di lui e l'opera diventerà una thriller comedy con momenti quasi demenziali.

Angosciante e abbagliante, in tutti i sensi, invece, l'altra proposta della Piazza Grande: Hell. L'inferno è sceso in terra, il sole brucia la pelle e la terra, il mondo è quasi disabitato. Siamo in Germania e due sorelle cercano la salvezza, insieme a due ragazzi e alla canzone pop cult 99 Luftballoons. Peccato che la loro disavventura, già devastante, sia destinata a incontrare una famiglia che sembra uscita da Non aprite quella porta. Anche qui, sono le donne a decidere il destino del film e... del mondo: un applauso alla "buona" Hannah Herzsprung e alla "cattiva" Angela Winkler. Tengono su il film da sole. E una stretta di mano a Tim Fehlbaum, giovane regista di Basilea che ha raccolto anche i complimenti del re del genere, qui anche suo produttore esecutivo: Roland Emmerich. Noi osiamo dire che almeno nella prima parte, il rosso Tim, forse, lo ha persino superato: quella terra arsa e arida, quella fotografia soffocante, quella regia attenta e mai banale nella sua semplicità, denunciano un talento non comune. E alla fine del film, pur nella brezza della piazza principale di Locarno, si sente un gran caldo.

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