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Questo articolo è stato pubblicato il 06 ottobre 2011 alle ore 17:36.

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Tomas TranströmerTomas Tranströmer

All'annuncio del Premio Nobel 2011 per la letteratura al poeta svedese Tomas Transtromer, la prima reazione del lettore italiano (anche forte) non può che essere di sorpresa. Lo conoscono in pochi, la svedese non è certo una letteratura dominante (o meglio: non lo è la poesia; nel romanzo, anzi, nel bestseller la Svezia è in questi anni forse il paese più in evidenza d'Europa, da Stieg Larsson in giù) e persino i suoi pochi e devoti cultori hanno uno scoglio ulteriore: un poeta come Transtromer, la cui cifra stilistica è, in gran parte, quella del suono e della parola non può che perdere in traduzione, in qualsivoglia lingua.

Epperò vanno fatte alcune considerazioni su questo ennesimo "scherzo" che gli Accademici di Svezia tirano alla comunità letteraria internazionale. La prima: non è una sorpresa. Transtromer era da anni in lizza per il premio. Forse, anzi, tra i candidati era quello che aveva avuto negli ultimi decenni più volte la candidatura. Sempre "bruciato" da colleghi stranieri, più o meno famosi, più o meno bravi, mai profeta in patria. Però il suo nome circolava puntualmente: e in Svezia, probabilmente, il suo alloro arriva come un atto dovuto al poeta nazionale. Negli ultimi anni gli Immortali hanno spesso pescato in letterature diciamo così molto laterali, spesso mascherando con un premio letterario le (presunte) colpe occidentali verso nazioni e regimi politici messe in grande difficoltà da questa parte del mondo.

Così, premiare Transtromer è riconoscere una nuova centralità a una letteratura, quella scandinava, che in anni passati si era autopremiata col Nobel troppo e senza merito, per poi far scendere un velo di pudore su candidati magari noti in patria ma francamente meno interessanti dei loro colleghi sparsi per il mondo.

Ma c'è un'altra cosa che merita di essere segnalata di questo Nobel. La giuria svedese ha un compito difficile, forse impossibile e sicuramente sovraesposto da un punto di vista mediatico. Dare un premio, per carità prestigioso e importante come il Nobel, è anche, però, fare una classifica degli scrittori (almeno così spesso viene percepita la faccenda dal pubblico), cosa palesemente insensata.

Però, stavolta, se non altro, la giuria ha premiato con cognizione di causa. La letteratura (fino a quando non vincerà Bob Dylan e a quel punto sarà un'altra cosa) è un'attività che ha a che fare con la lingua. Se la letteratura arriva in Svezia in traduzione, e dunque si premiano autori in traduzione, stavolta viene premiato un autore "in originale": e chi meglio dei letterati svedesi può giudicare un letterato svedese?

Non a caso, infatti, Transtromer è un poeta. Uno, cioè, che nella lingua, nella parola trova la sua piena realizzazione. Infine il motivo ancora più qualificante di questa scelta. Questo vincitore non è un poeta politico. Non è esiliato, non contesta nessun regime, non denuncia un bel niente, non affronta l'attualità. Questo vincitore, insomma, è un poeta-poeta. Che fa dell'equilibrismo linguistico (così ci dicono i suoi esegeti) la sua cifra, che svela l'umano e il misterioso grazie alla potenza della parola, che scruta l'umano e l'eterno con l'occhio inamovibile del pensiero poetico.

Che segue, alla lunga, un maestro come TS Eliot nell'impervio e immortale territorio dell'azzardo linguistico, in cui il famoso "correlativo oggettivo" è un'emozione, una sensazione, una scoperta continua. E basti leggere l'accostamento di ossimori che rinnovano il nostro senso del reale, per dimostrarlo, come fa Transtromer in Poesia dal silenzio (Crocetti): "Una bevanda effervescente in bicchieri vuoti. Un altoparlante che diffonde silenzio. Un sentiero che ricresce ad ogni passo. Un libro che può essere letto solo al buio".

Insomma l'Accademia di Svezia ha scelto bene. E per una volta ha dato un Nobel per la letteratura, non per qualcos'altro.

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