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Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2011 alle ore 20:30.

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Ubaldo Righetti, Roberto Pruzzo, Odoacre Chierico (LaPresse)Ubaldo Righetti, Roberto Pruzzo, Odoacre Chierico (LaPresse)

Una staffilata. Come quelle che Ago Di Bartolomei, numero 10 atipico, piazzava agli angoli delle porte, gonfiandole, quasi rompendole. Ecco cos'è 11 metri, uno degli eventi della sezione L'altro cinema/Extra: una bomba dalla distanza, sotto il sette, imparabile. E Francesco Del Grosso, coautore del già bellissimo documentario "Negli occhi" su Vittorio Mezzogiorno, qui fa proprio il regista alla Di Bartolomei. Parte da dietro, firma il film lasciando alla storia, generosamente, tutto lo spazio di cui ha bisogno. Ma non abdica al suo ruolo, come Ago, spronato da Liedholm, sceglie solo una posizione in campo apparentemente più defilata, per avere una visione più ampia del gioco, per cucire scene con la perfezione dei lanci lunghi del capitano.

Del Grosso ha fatto un documentario da applausi a scena aperta - quelli che ha ricevuto dalla Sala Sinopoli del Festival Internazionale del Film di Roma - 88 minuti (quasi una partita di calcio, guarda un po') dedicati a quell'uomo che portò la Roma allo scudetto, sfiorò la Coppa Campioni e 10 anni dopo, il 30 maggio del 1994 si tolse la vita. Un uomo di rigore: perché li tirava, anche in una finale, perché la sua rettitudine morale era indiscussa.

In "11 metri" c'è tutto, la difficoltà di vivere e la nostalgia canaglia per lo sport, i compagni, l'amicizia semplice e disinteressata di chi giocava con lui al campo dell'oratorio - e la testimonianza del prete che gli annullava i gol se tirava troppo forte, perché altrimenti il risultato era scontato - una famiglia allargata che racconta con un amore grande come la sua dignità il Di Bartolomei padre e marito. Il figlio Luca che si mostra scettico verso la coincidenza di date tra finale persa e suicidio, e sembra proprio lui, stesso sguardo profondo e consapevole, stessa capacità di scegliere con garbo e intelligenza le parole.

Ed è straordinaria quella moglie forte e ancora ferita che racconta come ha scelto di ricordare quel ragazzo malinconico solo con i suoi gesti buffi, la sua quotidianità divertente. Tutto è speciale in questo documentario in cui Del Grosso si inserisce triangolando con la storia, le parole, le immagini, con montaggi di repertorio e intuizioni da grande cineasta. E alla fine "Tradimento e perdono" di Venditti, dedicata a quel capitano, sembra più bella, su quei titoli di coda disegnati, su quel bambino che batte un rigore con la "sua" maglia. Onorata da tutti, ma non dalla nuova Roma "americana" che sul tappeto (giallo)rosso non s'è fatta vedere: Baldini, Sabatini, Viviani e Perrotta sono arrivati direttamente in sala. Ma i compagni Bruno, Odoacre, Franco, Ubaldo, c'erano. Mancavi solo tu, Ago, mannaggia a te.

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