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Questo articolo è stato pubblicato il 07 gennaio 2012 alle ore 18:52.

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Nel suo recente Analitici e continentali (1997 Milano Cortina) Franca D'Agostini cita una ragionevolissima osservazione di Bernard Williams sulla stranezza dell'opposizione filosofi analitici-filosofi continentali. Una tradizione di pensiero viene contrapposta a un'espressione geografica. Ma in che cosa consiste in realtà la distinzione? Si potrebbe dire che la sua eventuale validità dipende dalla risposta alla domanda: la filosofia è una branca della letteratura o della scienza? I continentali dovrebbero rispondere che è una branca della letteratura, gli analitici che è una branca della scienza. Questa è forse la prima differenza che salta all'occhio.

È vero infatti che per alcuni filosofi analitici (negli Usa forse per tutti) la filosofia è contigua alla scienza o ne è una branca, nel senso in cui la matematica lo è della logica secondo la scuola di filosofia della matematica fondata da Gottlob Frege. Qui il termine "scienza" va inteso nel senso limitato di "scienza naturale" che fisici e biologi usano per distinguersi dai non-scienziati, cioè da coloro che non condividono ciò che essi concepiscono come l'unico approccio razionale. Quine è convinto che sia valida solo quella filosofia che contribuisce all'avanzamento generale dell'impresa scientifica; i due Churchland vedono la neurofilosofia come una parente stretta della neurofisiologia, ecc.

Tuttavia, questo atteggiamento diverge nettamente da quello della maggioranza dei filosofi analitici. Wittgenstein ha sempre insistito, in ogni fase del suo pensiero, sulla assoluta diversità delle ricerche filosofiche, e dei loro metodi d'indagine, rispetto a quelle scientifiche, e la maggior parte dei filosofi analitici contemporanei sarebbero d'accordo con lui. Questo vuol dire che vedono la filosofia come una branca della letteratura?
La domanda se la filosofia sia una branca della letteratura o della scienza può essere confrontata con una questione identica riguardo alla storia. La risposta, in questo caso, è semplice. La storia non è una branca della scienza, intesa in senso stretto. Tuttavia non è neppure una branca della letteratura, come la poesia o il romanzo. Un buon testo di storia è sicuramente un contributo alla letteratura.

Ma i libri di storia vanno valutati anche per le loro qualità non letterarie. Testi privi di meriti letterari possono costituire dei validi contributi agli studi storici: possono portare alla luce nuovi fatti, proporne spiegazioni inedite, offrire nuove interpretazioni di interi periodi, anche se sono scritti in modo poco elegante. La storia non è una branca della scienza naturale. È però, come la scienza naturale, parte integrante della ricerca della verità. Per questo uno storico può ritenere sensato il lavoro di una vita anche se è lontanissimo dall'essere un grande storico. Non è così nelle arti. Una vita dedicata alla poesia, alla pittura o alla musica ha senso solo se, almeno occasionalmente, ci si avvicina alla grandezza.

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