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Questo articolo è stato pubblicato il 07 gennaio 2012 alle ore 19:23.

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Nel 1995 avevo pubblicato presso la casa editrice siciliana La Ziza I tarocchi siciliani. A questo libro avevo lavorato a intermittenza per circa vent'anni, da quando nel 1973 ero stato per la prima volta in Sicilia, dove si gioca ai tarocchi in una maniera molto diversa dalle numerose forme diffuse altrove e con un mazzo di carte che non somiglia a nessun altro. Attorno al 1900 il gioco era ancora popolare a Palermo e a Catania; verso la metà del secolo venne dimenticato, anche se la tradizione restava ancora viva in cinque città, come pozze rimaste tra gli scogli dopo che la marea si è ritirata.

Ero andato in Sicilia innanzitutto per scoprire la versione locale del gioco, la sua storia e la storia di quel mazzo di carte così particolare. Da anni facevo ricerca su tutta la storia dei tarocchi in tutti i luoghi dove il gioco esiste ancora - a Bologna, in Piemonte, in Francia, nella Foresta nera, in Austria, in Ungheria eccetera - e sui modi in cui era stato o era tuttora giocato. Nel 1973, avevo saputo da poco che era esistito ed esisteva tuttora in Sicilia.

Mi sono innamorato dell'isola già dalla mia prima visita. Ho anche conosciuto la persona che, all'infuori di quelle della mia famiglia, sarebbe diventata a me più cara: Marcello Cimino, giornalista de «L'Ora», un molto generoso e intelligente, e con un amore profondo per la sua Sicilia. In seguito avrei acquisito altri legami con l'isola: una nuora siciliana i cui genitori abitano a Centuripe, e un collega di Oxford, ormai morto purtroppo, che una volta in pensione si era trasferito a Siracusa.

Per due decenni e nel corso di parecchi viaggi, avevo studiato la storia dei tarocchi siciliani nel Museo Pitré, alla Biblioteca comunale e altrove a Palermo. Marcello aveva trovato giocatori in varie città e mi aveva portato a incontrarli perché imparassi le loro regole. Purtroppo nel novembre 1989 morì di cancro e persi il miglior amico della mia vita. Nelle mie visite successive, ho avuto occasione di conoscere meglio la sua vedova, Giuliana Saladino e di diventarne l'amico. Anche lei è morta di cancro, nel marzo 1999.

Dal 1995 volevo tornare nei luoghi dove c'erano ancora giocatori e mostrare loro il libro appena uscito, che mi era costato tanti anni di lavoro e che tanto deve a Marcello. Purtroppo non mi era possibile: erano raggiungibili soltanto in automobile e non potevo certo chiedere a Giuliana di accompagnarmi, come Marcello aveva fatto allora. Ma quest'anno l'occasione si è presentata. Nel 2002 l'editore Il nuovo Melangolo di Genova ha pubblicato una seconda edizione, di una bellezza sorprendente, e il professor Roccaro dell'Università di Palermo mi ha chiesto di fare una conferenza all'interno di un ciclo da lui organizzato. Un mio ex dottorando, Gianluigi Oliveri, che oggi insegna filosofia in quell'università, si è offerto di occuparsi del mio viaggio nei quattro posti dove volevo andare. Ha anche cercato di contattare dei giocatori e soltanto in una città non è riuscito nel suo intento.

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