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Questo articolo è stato pubblicato il 07 gennaio 2012 alle ore 19:00.

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Il professor Gianni Vattimo, sulla «Stampa» di lunedì 28 luglio, mi ha fatto l'onore di rispondere - in nome dei filosofi "continentali" - al mio articolo pubblicato il giorno prima sul Domenicale. Sono felice di poter condividere con lui alcuni punti. Siamo d'accordo per esempio sul fatto che i metodi della filosofia, e le domande cui cerca di rispondere, sono diversi da quelli scientifici, anche se spesso sono rilevanti per le scienze. Come ho sostenuto nel mio articolo, credo che la maggior parte dei filosofi analitici condivida questa idea, con qualche importante eccezione, come Quine. A dispetto delle caricature che circolano sulla filosofia analitica tra i "continentali", non è questo il punto su cui analitici e continentali divergono.

Peccato però che Vattimo non riesca a liberarsi dalla presa di queste caricature. Egli infatti scrive: «I problemi che gli analitici risolvono, o credono di risolvere, sono per lo più troppo affini a quelli delle scienze sperimentali per chiamarsi davvero filosofia. Le soluzioni sono per lo più chiarimenti terminologici, utili nel caso di tanti dibattiti etici, dove però le decisioni vengono rimesse alla scelta di ciascuno, che viene lasciato più o meno solo di fronte ai valori ultimi».

Le cose non stanno affatto così. La precisazione dei termini ambigui è talvolta necessaria per impostare la discussione filosofica: ma nessun filosofo analitico la presenterebbe mai come la soluzione di un problema. L'esplorazione dei concetti da parte dei filosofi analitici avviene a un livello ben più profondo. Si prenda, per esempio, una questione di indubbio interesse anche per i fisici: «Che cosa determina la direzione del tempo?». Non si può certo rispondere dicendo che per "direzione" si intende questo e quest'altro, per "tempo" quest'altra cosa ancora, e via dicendo. Bisogna piuttosto partire da un'indagine approfondita del perché diciamo che il tempo ha una direzione, poi considerare se questo perché poggia solo sulla natura della nostra esperienza o su fatti indipendenti da essa, e infine chiederci se i fatti su cui poggia sono contingenti o necessari.

Definire questo genere di ricerche meramente "terminologiche" significa presentarne una grottesca caricatura. Né si può dire che tali indagini si confondono con quelle fisiche tanto da non meritare di essere dette "filosofiche". Sembra quasi che Vattimo voglia rimproverare quei filosofi che si interessano delle teorie fisiche trovandole rilevanti per le loro riflessioni. I fisici si occupano della natura della realtà fisica, i filosofi della natura della realtà in generale, ma in un modo diverso. Ci sono domande filosofiche che nascono dalla scienza, ma il filosofo le tratta con metodi filosofici, e non scientifici.

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