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Questo articolo è stato pubblicato il 10 marzo 2012 alle ore 13:39.

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(Corbis)(Corbis)

Mobile: eccendente commerciale 12 miliardi, valore aggiunto 16
L'Italia è prima al mondo nel commercio di tessile, abbigliamento, pellame e scarpe.
Tra il 2009 e il 2010, i dati ICE delle esportazioni italiane negli Stati Uniti mostrano un miglioramento del Made in Italy.
L'italianità sembra influenzare gli elementi di eccellenza percepiti nei prodotti italiani, e la percezione spinge il consumatore all'acquisto di quello che chiamiamo il "Made in Italy". Il quadro fin qui è molto ottimista, ma ci sono problemi.

E' vero che il "Made in Italy" sembra tuttora competitivo, ma la domanda è la seguente: la competitività nasce dall'esser fatto in Italia o da altro? Se consideriamo il "fare" nel senso letterale, la realtà è già diversa. Molti prodotti sono solo progettati in Italia e realizzati altrove per svariati motivi, legati principalmente ma non esclusivamente ai costi e alle relazioni industriali. Una quantità crescente non è più "Made in Italy" e la situazione potrebbe quindi far pensare che ad attirare davvero il consumatore sono i prodotti pensati, inventati, concepiti, progettati ecc. in Italia.

E' il famoso know-how o conoscenza implicita dei designer italiani, il risultato di secoli di perizia, talenti artigianali, tradizione estetica e abilità pratica che fanno dell'Italia un paese unico. Potremmo aspettarci quindi che la condizione necessaria per identificare l'italianità di un prodotto è che sia pensato in Italia. Questo darebbe all'Italia un vantaggio rispetto alla Germania la cui attrattiva è profondamente legata a un modo di produzione più difficile da delocalizzare in quanto basato sul territorio. Vale a dire che mentre il consumatore è disposto ad accettare che un prodotto italiano sia realizzato altrove, l'affidabilità, la robustezza, la solidità e la sicurezza evocate dal marchio Germania sono invece legate alla produzione di per sé. E' molto più difficile che un consumatore accetti come tedesco un prodotto realizzato per esempio in Africa.

A questo punto si pongono altre domande. "Pensato in Italia" è una condizione veramente necessaria o soltanto sufficiente? Esistono altre condizioni più fondamentali perché il consumatore si rappresenti un prodotto come italiano e ne venga attratto?
1.La realtà pare rispondere "sì, esistono altre condizioni", Purtroppo, sappiamo che nel mondo cresce il tasso di prodotti che si fingono italiani e non sono né fatti né pensati in Italia. In molti paesi, come la Cina, per attirare i consumatori basta apporre un marchio dal nome italiano, anche se non corrisponde ad alcuna griffe famosa. Oppure basta progettare una campagna di comunicazione e di marketing che colleghi i prodotti a qualche aspetto dello nostro stile, o vita quotidiana, territorio, patrimonio culturale, antropologia, comportamenti. Un esempio locale, ma significativo, è quanto accaduto nella ristorazione a New York. Un numero crescente di cuochi americani hanno un finto ristorante italiano. Il nome è italiano, ma per la maggior parte delle ricette e dei prodotti, la cucina non lo è. Eppure il consumatore crede che si tratti di autentici ristoranti italiani. Fatto interessante, non è successo anni fa quando una precedente generazione di cuochi americani avevano adottato e interpretato ricette francesi, chiamandole New American Cuisine.

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