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Questo articolo è stato pubblicato il 24 marzo 2012 alle ore 19:41.

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Tonino Guerra (LaPresse)Tonino Guerra (LaPresse)

Già s'incurvava il sole del mattino
e alzando gli occhi ho visto
dentro una sconsacrata chiesa della valle
il celeste impreciso appena acceso
dall'occhiata diritta di un rosone.
Alle impronte lasciate dagli ex voto,
ai rivoli di piogge disseccate,
ai radi oggetti sparsi mi volgevo:
un avanzo di panca, una cornice vuota,
l'odore secco dei legni con i tarli,
un abbandono inerte, innaturale,
senza idee di risveglio, libero
da abitudini e rimpianti.
Consunta la sua aria, neppure una farfalla
si sarebbe più alzata dove soltanto il vuoto
aveva casa; tutto era convertito
a quel silenzio, anche l'avidità degli occhi
ormai avvezzi al bianco dei cementi
e alle tegole rosse, tutte uguali,
distese come urli tra le miti arature
dei tetti bruni e sghembi, col tartaro macchiato
dalle borchie giallastre incise dagli inverni
sui paesi inventati dagli uccelli.

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