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Questo articolo è stato pubblicato il 12 aprile 2012 alle ore 18:47.

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Il fatto che Joyce avesse modellato il suo romanzo sul poema omerico esattamente come aveva già fatto Fielding col suo Joseph Andrews dimostra quanto solida fosse la pianta dai cui rami scendevano Sir Gawain e Re Artù fino a Tom Jones e, appunto, quel gran mangiatore di rognoni di castrato di Bloom, che passeggia per le strade di Dublino in un ormai per noi eterno 16 giugno 1904.

MORTE DEL TEMPO. E DEL ROMANZO?
In Tom Jones – il risultato migliore raggiunto da Fielding nel campo del romanzo – per diciotto libri l'eroe eponimo si districa in una serie impressionante di avventure erotiche, rovesci di fortuna, intrighi, complotti e duelli, per nostro sommo divertimento. Dalla prima all'ultima pagina il lettore tifa per lui, si appassiona del suo destino sempre in bilico, e soprattutto ride, ride ininterrottamente, grazie al fatto che Fielding gli ricorda di tanto in tanto che è tutta finzione, è solo rappresentazione, e non vale la pena darsi troppa pena per lo scapestrato protagonista del suo romanzo. Lo stesso succedeva col Don Chisciotte e si può dire senz'altro che l'Ulisse non si propone tanto di scandagliare i recessi psicologici di Leopold e di sua moglie Molly – a partire proprio dal flusso di coscienza di quest'ultima –, quanto di esplorare tutte le possibilità che ci dà il linguaggio – a partire proprio dallo stream of consciousness della signora.

Se il romance è, per statuto, il romanzo antipsicologico e antistorico per eccellenza, dove l'Azione determinante non è quella dell'eroe bensì quella dell'Autore che racconta e non di rado compie screziatissime ruote di pavone, allora il romanzo postmoderno ne è stato – finora – l'emblema contemporaneo.

Sul genere postmoderno si continua ancor oggi ad insistere sull'idea di Lyotard di un fenomeno non tanto post cronologico quanto post tematico, in contrapposizione alla modernità intesa come volontà di costruire sistemi totalizzanti e come rilettura critica del determinismo scientifico; oppure si mette in risalto, da un punto di vista prettamente stilistico, gli intenti decostruzionisti, perseguiti con il montaggio di testi diversi, il citazionismo, il pastiche, le sfumature pop. Ma il minimo comune denominatore, per gli scrittori postmoderni (a partire dai loro vati, Joyce e Borges) è il crollo del Tempo. Se l'idea di progresso è negata, il caos del mondo comporta anche un nuovo modo di vedere il passato; la storia può essere percorsa in ogni sua direzione, eterno labirinto senza filo di Arianna. Rifuggendo intenzionalmente dai personaggi a tutto tondo in favore di loro simulacri monodimensionali e appropriantisi cialtronescamente delle evoluzioni più radicali del classico "più so, più so di non sapere" (principio di indeterminazione di Heisenberg, entropia, teoria della probabilità, teorie del caos, eccetera), i postmoderni hanno volato attraverso le epoche seduti su una palla di cannone come il Barone di Münchausen, o a cavallo di un razzo V-2 come il Tyrone Slothrop de L'arcobaleno della gravità, oppure seguendo la traiettoria di una palla da baseball come succede in Underworld, ordendo per noi tutta una serie di complicatissime e divertentissime dietrologie (una per tutte: il Dio che in realtà s'è incarnato in Giuda in un racconto di Borges). Fino a quando non se n'è potuto più.

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