Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 12 aprile 2012 alle ore 18:47.

My24

AMBIZIONI E FALLIMENTI
Il romance tornerà di moda, magari in una nuova incarnazione post-postmoderna. Ma è un fatto che da qualche anno è un genere letterario che non pratica più nessuno: suicidatosi David Foster Wallace, è toccato al campione della categoria recitarne il de profundis.

Nel suo penultimo romanzo, Against the Day, pubblicato nel 2006, Thomas Pynchon – il migliore scrittore in prosa di invenzioni epiche dopo Joyce – ricorre senza economia a tutti i suoi trucchi più celebri: un'estenuante lunghezza (1.085 pagine nell'edizione americana), un plot talmente labirintico da scoraggiare ogni tentativo di sinossi, un cast di personaggi che tende all'infinito – con la solita incursione di alcune figure vere, da Nikola Tesla a Bela Lugosi a Groucho Marx – un incastro apparentemente caotico di piani temporali (reversibili, sovrapposti, spiroidali), l'Atlante usato con disinvolta bulimia (si va da Chicago a Venezia, dal Messico all'Asia centrale, oltre a un paio di luoghi che nessuna mappa ha mai segnato) per ambientare scene che sembrano vetrini di una lanterna magica. Non mancano l'ormai inevitabile routine della canzoncina suonata all'ukulele, astruse formule matematiche e ovviamente la mania del complotto, con robuste dosi di anticapitalismo, controcultura, anarchia, eros, entropia e misticismo. Nel risvolto di copertina – redatto inequivocabilmente dallo stesso Pynchon – leggiamo: «Se quello narrato nel romanzo non è il mondo, è perlomeno il mondo come dovrebbe essere con un paio di aggiustamenti. Secondo alcuni, è questo lo scopo principale della narrativa».

L'inveterato parodista ha evidentemente ricalcato l'incipit dalla prima scena della Tempesta di Shakespeare, che, sebbene cronologicamente sia seguita dall'Enrico VIII, resta il momento conclusivo, il punto d'arrivo e il sigillo del bardo. Da qui il sospetto che Against the Day sia nelle intenzioni di Pynchon il suo addio alla letteratura maggiore e più in generale può essere inteso il canto del cigno del genere postmoderno. Risuonano le ultime parole di Prospero: «Non ho più, a darmi manforte, i miei spiriti alleati e obbedienti; né artifici o incantamenti. […] E se a voi, cari signori, piace d'esser perdonati dei peccati, date adesso a me la licenza di partir libero e assolto dalla vostra alta clemenza».

Per una stilla in più di quella che Barthes chiamava jouissance, io perdono a tutti i funamboli moderni del romance i loro macroscopici difetti – le fumisterie linguistiche, la vertigine strutturalista, lo sperimentalismo fino a se stesso, l'assenza di profondità psicologica – e dovendo constatare come gli ultimi seguaci di Flaubert abbiano miseramente fallito sul terreno del novel (penso, ad esempio, agli ultimi romanzi delle "promesse" americane Eugenides ed Eggers, per non parlare del sempre politicamente corretto Franzen), non posso che augurarmi che qualche nuova Sherazade, per salvarsi la vita, inizi a raccontarmi di un'altra Città di Rame, di una milleduesima notte.

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi