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Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2012 alle ore 11:51.

A volte le migliori risorse per i cartelli criminali sono proprio i bambini che ammazzano per necessità, ma come fosse un gioco. Edgar Jimenez Lugo, detto "El Ponchis", nel 2010 era considerato il dodicenne più feroce del mondo. Fu arruolato da Julio de Jesús Radilla Hernández detto "El Negro" ed era al soldo del Cartello del Pacifico del Sud. Era un bambino latino ma nato in America a San Diego. Specializzato nel tagliare gole, mentre torturava e sgozzava le sue vittime, veniva ripreso con la telecamera dai suoi compagni che poi caricavano i video su internet. Alcuni video sono ancora visibili e mostrano El Ponchis che picchia un uomo appeso a una corda e sgozza un uomo bendato. A volte, a essere postate erano foto di gruppo in cui i giovani affiliati indossavano passamontagna, avevano droga e impugnavano armi di grosso calibro.
Proprio grazie a questi video, le forze dell'ordine hanno iniziato a indagare su El Ponchis e sono riusciti ad arrestarlo, ormai quattordicenne, il 3 dicembre 2010 all'aeroporto Mariano Matamoros di Cuernavaca nello Stato di Morelos, dove il Cartello del Pacifico del Sud aveva il suo quartier generale. El Ponchis era diretto a Tijuana e da lì avrebbe raggiunto San Diego. Viaggiava con sua sorella Elisabeth, di 16 anni, il cui compito nella banda, probabilmente, era di sbarazzarsi dei cadaveri, scaricandoli sulle strade e sulle autostrade. Secondo le autorità, El Ponchis è coinvolto in dozzine di omicidi e per ogni vittima sgozzata riceveva 2mila e 500 dollari. Eppure, durante l'interrogatorio, ha dichiarato di aver decapitato 4 uomini e di averlo fatto sotto l'effetto di droghe. Ha aggiunto che, se fosse stato rilasciato, avrebbe voluto trovare un lavoro vero e mettersi sulla buona strada.

Ma non sempre i baby-killer vengono reclutati da chi conosce il territorio e i quartieri più poveri. Più spesso la ricerca avviene tramite i narcostriscioni: appesi ovunque, si rivolgono ai soldati promettendo buone paghe e benefici per chi vorrà arruolarsi. In questo modo è stato reclutato dai Los Zetas, poco più che bambino, Rosalio Reta, nato a Houston in Texas. A 13 anni commise il suo primo omicidio negli Stati Uniti, dopo sei mesi di addestramento militare in Messico, in un ranch nello Stato di Tamaulipas. La polizia lo catturò nel 2006, nel comune di Santiago (Nuevo León), dopo aver partecipato all'omicidio di due rivali degli Zetas. Durante l'interrogatorio, riferendosi al suo primo omicidio, disse: «Mi è piaciuto farlo, uccidere quella persona. Mi sentivo Superman». Ma poi aggiunse che preferiva uccidere le sue vittime quando non fossero legate. Troppo facile prendere in mano una pistola e sparare in testa a un uomo disarmato e legato: "Non c'era sfida". Lui preferiva pedinare le sue vittime e prenderle alla sprovvista, scegliere il momento giusto. Sentire l'adrenalina, il pericolo. Dai 13 ai 17 anni, ha commesso 20 omicidi, tutti per conto degli Zetas.

Insieme ad altri due minorenni, Gabriel Cardona e Jessie Hernández, formava una cellula de Los Zetas in Texas, conosciuta come Los niños Zetas. Vivevano insieme, in una casa affittata per loro dal cartello e guadagnavano 500 dollari a settimana. Rosalio e Gabriel, si erano fatti tatuare due occhi sopra le palpebre, per avere gli occhi aperti, sempre, anche quando dormivano. Durante gli interrogatori, Rosalio, non aveva mostrato alcun rimorso per gli omicidi, temeva solo le ritorsioni dei Los Zetas "per aver sbagliato" un colpo a Monterrey, dove invece di uccidere una sola persona in un nightclub, come gli era stato ordinato, mancò il bersaglio: uccise 4 persone e ne ferì 25, tutti civili non legati alla criminalità organizzata.

Dal 2000, solo in Messico, i giornalisti uccisi dai killer al soldo dei cartelli del narcotraffico sono circa 80. E negli ultimi tre anni, i morti per il controllo del mercato della droga, oltre 15mila. Ciò significa che potrei scrivere per ore e raccontare attraverso le vite di queste persone e attraverso le loro morti la guerra che si combatte in Messico, una vera e propria guerra civile fondata sul denaro. Come tutte le guerre civili, dirà qualcuno, ma qui è costantemente alimentata dalle faide sulla spartizione dei territori. Da quando la Colombia ha smesso di essere un paese distributore, i cartelli colombiani – di Cali, Medellin, ma anche i gruppi guerriglieri Auc e Farc che in realtà hanno sempre gestito il narcotraffico – sono implosi e versano in gravi difficoltà rispetto al Messico che è diventato il centro della distribuzione della cocaina. I narcotrafficanti messicani, a differenza di altri gruppi, a differenza anche delle organizzazioni italiane e di quelle russe, instaurano una vera e propria dittatura del narco. Guatemala, Salvador, Belize, Honduras, Nicaragua, Costa Rica, sono di fatto colonie messicane, perché il Messico sta conquistando tutto. Tutto. Basti pensare che il territorio con più morti ammazzati al mondo è l'Honduras, da quando è a disposizione dei cartelli messicani e da quando produce cocaina. La Colombia, invece, è in una situazione di ripresa; continua a produrre cocaina ma non distribuendola, risente meno del potere dei narcotrafficanti. Poi c'è il Perù, paese produttore e l'Argentina, che recentemente ha perso un partner importante nella lotta al narcotraffico. A luglio scorso, il ministro della Sicurezza argentino ha ordinato alla Dea, l'antidroga americana, di sospendere le sue attività sul territorio.

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