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Questo articolo è stato pubblicato il 15 luglio 2012 alle ore 15:33.

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Pochi anni dopo la conclusione del concilio di Trento, nel 1567, un dotto cardinale veneziano, Marcantonio Da Mula, sollevò alcuni quesiti che si posero al centro di una discussione a più voci, in parte allora svoltasi nella sua residenza e poi allargatasi ad altri interlocutori. Perché il mondo pagano non aveva conosciuto conflitti religiosi? Perché l'unica religione che esso aveva perseguitato era stato il Cristianesimo? E perché invece, lungi dall'instaurare un regno di pace e di fratellanza, il Cristianesimo aveva sempre alimentato una storia di divisioni, di scontri, di guerre sanguinose?

Sono, a ben vedere, domande implicite anche nello straordinario capitolo XIX del II libro degli Essays di Montaigne laddove, nel discutere di libertà di coscienza, elogiava le grandi virtù di Giuliano l'Apostata, «uomo grandissimo e raro», esecrato per la sua avversione alla nuova fede dai cristiani suoi contemporanei, che avevano tuttavia dovuto riconoscere che egli non si era mai macchiato di «spargimenti di sangue», a differenza di quanto facevano i cristiani del presente.

Tutte le risposte alle domande del Da Mula restarono inedite, salvo una, quella di Fabio Benvoglienti, edita nel 1570 e poi messa all'Indice dieci anni dopo. Il che poco stupisce, dal momento che esse ponevano problemi a dir poco scottanti in tempi di Controriforma militante e di crociate, all'indomani dell'elezione di Pio V, il Papa inquisitore impegnato a stroncare ogni forma di dissenso religioso e a brandire il vessillo della guerra santa contro gli infedeli, quando in Italia e in Spagna si succedevano i lugubri autos de fe con i roghi di impenitenti e relapsi, quando la Francia sprofondava nel baratro delle guerre civili tra cattolici e ugonotti, quando il duca d'Alba usava il pugno di ferro contro i ribelli calvinisti delle Fiandre, quando in Scozia la rivoluzione politica si intrecciava con quella religiosa, quando la Polonia scacciava gli antitrinitari che vi avevano trovato rifugio, quando anche il mondo protestante era travagliato dalla discussione sulla liceità della condanna a morte degli eretici.

Discutere di Cristianesimo e guerra era dunque questione molto seria e delicata nell'Europa di quegli anni, in cui il fanatismo delle contrapposte ortodossie sembrava aver fatto dimenticare le parabole evangeliche che un grande difensore della tolleranza religiosa come Sebastiano Castellione aveva evocato in un libro apparso a Basilea nel 1554 con il titolo di Se gli eretici debbano essere perseguitati: «Beati voi quando gli uomini vi perseguiteranno» (Matth. V, 11), «vi mando come agnelli in mezzo ai lupi» (Matth. X, 16), «lasciate che crescano sino al tempo della messe» (Matth. XIII, 30), «tutti coloro che vorrano vivere piamente in Cristo sopporteranno persecuzioni» (II Tim. III, 12). «Uccidere un uomo – scriveva – non significa difendere una dottrina, ma solo uccidere un uomo».

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