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Questo articolo è stato pubblicato il 06 agosto 2012 alle ore 19:32.

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Una notte da leonesse a Locarno, nella terra del Pardo. Ormai i film sui matrimoni, meglio se ambientati la notte prima del grande evento vanno per la maggiore. Il giorno piú importante di ogni uomo e di ogni donna, si sa, è quasi sempre preceduto da nottate poco edificanti, tra addii a celibato e nubilato estremi e ultimi viaggi da single spericolati. Vale anche per il film di Leslye Headland, giovane donna che ha pensato come il sogno d'ogni ragazza possa divenire un incubo. Dopo Todd Phillips (Una notte da leoni 1 e 2) e Stephan Elliot per gli uomini (Tre uomini e una pecora), dopo Kristen Wiig (Le amiche della sposa) e Gary Winick (La mia miglior nemica) per le donne, arriva, ancora per quest'ultime, Bachelorette che mette insieme quattro moschettiere per salvare un vestito da sposa. Spiccano una Kirsten Dunst borghesissima e rigida e una Lizzy Caplan sboccata e ruvida- rimarrà nella storia la sua lezione in aereo su una pratica sessuale molto nota-, ma non riescono a salvare il film. Forse perché manca una vera chimica tra loro e con le altre due, Isla Fisher e la "sposa" Rebel Wilson, di sicuro perché mancano ritmo e dialoghi degni di questo nome. Il film è fondamentalmente noioso perché non capisce che ingrediente necessario di un lungometraggio del genere "matrimoni folli" è il politicamente scorretto, qui sfiorato solo con la Caplan "volante" e con la presa in giro dell'amica obesa che porta al gran danno. Ci si prova anche con la Dunst che consuma un amplesso in bagno, ma là, si vede bene, non ci crede neanche lei. E il cast maschile, pur di contorno, è davvero inconsistente per carisma degli interpreti e spazio nella sceneggiatura. E cosí il film raccoglie il minimo sindacale con quelle poche scene riuscite e con la coppia Dunst-Caplan che è un piacere per gli occhi e, se in forma, anche per le orecchie.

Ecco perché il consiglio è trascurare la Piazza Grande, per una volta, e andare a ripescare quei gioielli di cui il festival di Locarno è disseminato. Uno di questi è sicuramente Winter, Go Away!, documentario collettivo di giovani cineasti sull'ultima rielezione di Vladimir Putin. Si è guadagnato, con merito, una proiezione supplementare che si terrà domani. Presentato nella sezione Cineasti del presente, i dieci registi si sono diplomati nella Scuola di cinema e teatro documentario di Marina Razbezhkina a Mosca. Due mesi a girare per la capitale, in tutti i sensi, 60 giorni in cui raccogliamo testimonianze e immagini che telegiornali e affini hanno ignorato, uno sguardo senza orgogli né pregiudizi su un paese disorientato da se stesso (illuminante il "sto dalla parte di Putin ma contro Medvedev", un po' come dire "sto con Berlusconi ma contro Alfano" in Italia). La freschezza degli occhi coinvolti in questa ricerca prima antropologica e solo dopo politica ci sa aprire spazi di riflessioni diversi e originali, non sappiamo mai cosa pensare né possiamo prevedere cosa succederà. Troviamo volti trionfanti, fatti controversi, una società squassata da un confuso impeto democratico e una struttura di potere autoritaria. Davvero un bel film ed è bello oltre che giusto che siano giovani leve ad averlo portato avanti.

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