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Questo articolo è stato pubblicato il 09 agosto 2012 alle ore 17:39.

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Kat Coiro, regista e produttrice di While We Were Here. (Ap)Kat Coiro, regista e produttrice di While We Were Here. (Ap)

Piazza Grande, pur con la sua vocazione popolare (la media, senza pioggia, supera le 6.000 presenze), sa da sempre rischiare. E di certo la direzione di Olivier Père non fa eccezione, anzi. Ecco come si spiega la presenza, nella stessa sera, di While We Were Here e Motorway, film diversissimi che vanno a comporre una serata tra le più eterogenee. Il primo è in bianco e nero ed è una storia d'amore e di svolta di vita, il secondo è un poliziesco che sgomma su terreni già calcati da classici modernissimi come la saga di Fast & Furious e quelli d'antan alla Hill o alla Friedkin.

D'obbligo partire da chi occuperà la prima serata e che ha usato location italiane per il suo melodramma sentimentale. Kat Coiro, regista e produttrice di While We Were Here, infatti, rimbalza tra Napoli (precisamente tra Mergellina e Piazza del Plebiscito) e Ischia. Nella prima Jane (Kate Bosworth) tenta di recuperare il matrimonio con Leonard (Iddo Goldberg, anche secondo operatore di macchina) spezzato da una gravidanza interrotta, nella seconda incoccia nel giovane Caleb (Jamie Blackley), soffio di vita e sensualità che le restituisce il sorriso.

La cineasta, però, si incaglia in un Sud da cartolina e in dinamiche sentimentali da soap, tra un Maruzzella e un Funiculì Funiculà, tra una passeggiata romantica e un Castello Aragonese galeotto, non si esce mai dagli schemi di un cinema datato e francamente di scarsa qualità. Non aiuta un bianco e nero che sembra più uno stratagemma per virare sull'autorialismo che una reale necessità, soprattutto proposto in modo così vivo e innaturale.
Migliora un po' la seconda serata con Motorway che, però, non riesce nell'intento di raggiungere i modelli occidentali più famosi, pur essendo chiaramente ispirato ad essi.

Non basta la presenza, anche solo in produzione, di Johnnie To (qui insignito del Pardo d'onore), per togliersi la patina di un'imitazione passabile di qualcosa di già visto. Un giovane poliziotto con il vizio della guida veloce è incastrato in polizia, a fare multe a chi non rispetta i limiti di velocità: un contrappasso ma anche il modo per pigiare sull'acceleratore legalmente. L'hobby e le "modifiche" però diventano un'arma quando il gioco si fa duro e soprattutto grosso, tra rapine e inseguimenti pericolosi, che non lasciano indenne nessuno. Buone le scene d'inseguimento, più debole del già non eccelso Fast & Furious il cotè narrativo, Motorway piacerà agli appassionati del cinema orientale di genere, ma non conquisterà gli altri. Dopo averlo visto, comunque, meglio tornare a casa a piedi.

Ma anche in una giornata piuttosto sfortunata come questa, il gioiello è dietro l'angolo. Ben e Joshua Safdie regalano al festival ticinese un corto di poco più di 20 minuti, The Black Balloon. Protagonista, non ci crederete, un palloncino nero. Passeggia per una città, incontra gente, in qualche modo interviene o semplicemente osserva le loro vite e noi le sfioriamo con lui. Non ha viso, solo un filo che si muove sotto di lui: eppure sa farti ridere e commuovere e quando alla fine compie la sua impresa eroica, siamo tutti a esultare con lui.

I Safdie ci dimostrano come il cinema sia un mezzo straordinario, pronto a regalarti momenti preziosi e potenti anche con poche risorse e un pugno di minuti. Tanto da farti venir voglia di tornare bambino e non scegliere più quei balloon colorati e pacchiani, ma quello trascurato da tutti. D'altronde un palloncino non va mai sottovalutato, ce l'hanno già insegnato molti registi, da Elia Suleiman in Intervento divino a Hsou Hsiao Sien (Il viaggio del pallone rosso). E in fondo anche la popstar tedesca Nena. Ricordate 99 Luftballoons?

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