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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2012 alle ore 08:49.

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Il Plötzensee è uno delle centinaia di laghi che punteggiano la periferia di Berlino – lo vede sempre chi scende verso il vecchio aeroporto di Tegel, immaginando una città campestre che poi a terra non troverà più. È circondato da un cimitero e da un bosco, fitto nonostante la vicinanza col centro e popolato da migliaia di uccelli.

La domenica alle dieci le campane della cappella coprono per pochi istanti le loro strida, e svegliano l'abitante di una delle due sole costruzioni sulla riva, un artista trentenne di nome Fiete Stolte. Ha l'aspetto puro e paradigmatico dell'uomo tedesco, bianco di pelle e biondissimo, alto e massiccio ma comunque appuntito. È naturale che abbia l'aria assonnata: anche se il sole è già alto, per lui è appena l'alba, di un giorno senza nome che è l'ottavo della settimana.

Non è un effetto del jet lag, destinato a passare: lo sfasamento di orari di Fiete Stolte è permanente. Come sempre più persone nell'epoca dell'efficienza a tutti i costi, Stolte ha alterato drasticamente il proprio ciclo sonno-veglia, riprogrammandosi l'orologio biologico per avere più produttività, più soddisfazioni, più libertà, o anche solo il brivido di fare una cosa riservata soltanto ai Doverni e agli dei: dominare il tempo. Da anni vive su un calendario che prevede una settimana di otto giorni da ventuno ore – complessivamente lunga quanto quella normale, eppure suddivisa in modo diverso. Il lunedì coincide con quello di chiunque altro, ma finisce tre ore prima; le sue giornate, da allora, slittano progressivamente indietro rispetto a quelle del resto del mondo (mercoledì: -9, venerdì: -15). Tempo domenica e tutti gli altri hanno vissuto sei giorni da ventiquattro ore e Fiete Stolte ne ha vissuti sette da ventuno, e si sveglia all'alba delle dieci con le campane del cimitero sul Plötzensee.

Parte della produzione artistica di Fiete Stolte documenta questo sforzo di trovare un ritmo indipendente dalla società e legato unicamente ai propri bisogni. Una serie di fotografie della sua finestra, riprese per una settimana a un'ora di distanza, mostra il buio della notte che si sposta attraverso le sue giornate, invadendo il pomeriggio di martedì, occupando quasi interamente il venerdì, tornando al proprio posto nell'ottavo giorno. Un'altra serie fotografica ritrae alcune albe: e ritrae, quindi, un'alba, due mattine, tre pomeriggi e due notti. Appunto.

Stolte sottolinea come questo suo progetto sia un esperimento di autonomia, il tentativo di costruirsi una dimensione temporale indipendente – non vi vede alcun risvolto efficientista. Eppure, naturalmente, quel risvolto c'è: e le fotografie notturne di Fiete Stolte offrono la metafora di un'epoca che guarda al sonno come a una risorsa manipolabile individualmente, l'oggetto di un calcolo costi-benefici. Una volta accettata l'idea che si può disporre in autonomia del proprio ciclo sonno-veglia, agganciandolo a esigenze e interessi di ogni genere, sorge spontanea la tentazione di applicare anche a questo ambito l'ossessione tutta umana per l'ottimizzazione. Come fece Descartes con l'anima, naturalmente, il primo passo per razionalizzare qualcosa è trovare un modo di misurarlo.

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