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Questo articolo è stato pubblicato il 20 settembre 2012 alle ore 21:06.

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Siete musicisti emergenti? Almost Famous recensisce solo musica indipendente. Inviateci demo, Ep e album più o meno auto-prodotti all'indirizzo almostfamous.ilsole24ore@gmail.com Parleremo di chi ha tante idee e pochi soldi per realizzarle. Spietatamente

Gli Stephen Dedalus hanno un terribile, insuperabile e unico difetto: il nome. Si chiamano così in omaggio all'«Artista da giovane» ritratto da James Joyce e uno si immaginerebbe un manipolo di brufolosi ragazzini alle prime letture che un po' scrivono poesie in versi sciolti nella Smemorada, un po' corteggiano le ginnasiali. Adolescenti grafomani che il sabato pomeriggio vanno a lezione di liuto, con tutto il rispetto per il liuto.

E invece sono dinamite pura: il power-trio di Jesi composto da Nicola Paccagnani (voce e chitarra) e dai fratelli Andrea (basso) e Nicola Barchiesi (batteria) fanno un alternative rock senza tanti complimenti, seguendo la rotta che da Memphis porta a Bakersfield. Motore (la sezione ritmica) nutrito da una razione generosa di lubrificante (la chitarra distorta). Un anno fa per l'etichetta indipendente 300records hanno realizzato «Say it right!», seguito del demo «Amatour Homemade» - questo sì, un nome geniale – e dell'album «Smoke».

Pochi se ne saranno accorti, destino infausto delle produzioni indie. Ed è un vero peccato: riff affilati, brani veloci e cantabili, testi in inglese. Se in calce al disco ci fosse la firma del produttore Danger Mouse nessuno troverebbe da eccepire. Dopo l'intro di «Looking ahead» c'è «Long way to Phoenix» a mettere tutti dell'umore giusto, con quel riff hendrixiano ma non troppo e i fratelli Barchiesi che giocano a fare gli equilibristi.

Paccagnani canta come fosse il fratello piccolo di Dan Auerbach e propone un assolo melodico senza strafare. Echi country arricchiscono la trama di «Average Man», mentre «Going out West», con il basso in overload e la batteria che indugia sui tom, sembra il frutto di una impossibile jam tra gli australiani Jets e un redivivo Keith Relf. «Wake me up» rallenta il ritmo e scalda gli umori, «Doctor's pill psycho paranoid blues» è un piccolo quanto grazioso capolavoro di blues in lo-fi della serie: «Dottore, mi dia una pillola o due/ perché ho il blues». Ci scappa pure la power ballad arpeggiata e vagamente impegnata («War Maker»).

Quello che all'inizio era un sospetto, a un certo punto dell'ascolto diventa una sicurezza: Paccagnani ha studiato Hendrix. Che altro è lo strumentale «Billy B.», se non una ri-considerazione del riff di «Machine Gun» reso appena un po' più soft? Per quanto riguarda «Right Hear», che non vi venga in mente di ascoltarla mentre guidate in autostrada: lasciarsi prendere la mano (o meglio il piede) è un attimo e al primo intermezzo dancefloor potreste trovarvi la stradale alle costole, come in tanti filmacci di Roger Corman. «Losers» è un pezzo meditativo di quelli che riescono a John Grant quando ha buttato giù qualche bicchierino di troppo.

Ci si saluta su «Broken Twice Cut» che sa di Black Rebel Motorcycle Club. Il meno consolante dei finali possibili. Dio benedica gli artisti che tengono sempre sulle spine il proprio pubblico. Caro Danger Mouse, ascolta il consiglio di Dustin Hoffman: visita le Marche, ché potrebbe valerne la pena. Cari Stephen Dedalus, siete proprio sicuri di questo nome da entry level del rock and roll? Jim Beam sarebbe molto più adatto alle cose che suonate.
Stephen Dedalus
«Say it right!»
300records

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