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Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2012 alle ore 11:26.

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C'è stato un tempo in cui il Barcellona era un'altra cosa. Nel 1943 affrontò il Real Madrid nelle semifinali della Coppa del Generalissimo. Quando mancavano pochi minuti dall'inizio della gara nello spogliatoio del Barça (ora sì con affetto) entrò il capo della sicurezza nazionale e chiese di parlare con i giocatori. Li riunì e disse loro di ricordarsi che molti erano appena tornati in Spagna dopo l'esilio grazie a un'amnistia che aveva condonato la loro fuga. «Non dimenticate che molti di voi giocano soltanto grazie alla generosità del Regime, che ha deciso di chiudere un occhio sulla vostra mancanza di patriottismo».

I blaugrana minacciati della perdita del bene supremo, la loro stessa vita, furono sconfitti per 11 a 1. Io non ho ricordi di quel Barcellona e non ho idea concreta del franchismo e di quello che il nazionalismo catalano possa aver subito negli anni neri del Generale, ma nella mia fantasia quegli undici giocatori sono sì più di una squadra, mes que un club, costretti a perdere per sopravvivere nonostante la sconfitta fosse una tragedia per tutta la popolazione catalana. Le immagini in bianco e nero riportano facce serie, spaventate, sofferenti. Quel Barcellona aveva un ruolo, incarnava lo spirito del suo tempo, aveva una funzione. Questo Barcellona è una squadra costruita in laboratorio (e qui non abbiamo parlato dei sospetti di doping e della presenza di Xavi e Iniesta nelle liste dell'alchimista dello sport spagnolo, il misterioso Dottor Fuentes), educata a essere ineducata e spietata ma a piacere i bambini, addestrata a distruggere il calcio trasformandolo in una noiosissima e frenetica sessione di cucito e incapace di fare qualcosa di memorabile e non solo di numericamente eclatante. In questo senso odiare il Barcellona significa ancora amare il calcio del caso e della buona sorte, amare ogni Davide che sconfigge Golia e odiare i parrucchieri catalani e il loro gel. Io mi sento di farlo senza remora alcuna, perché odio il Barcellona e non leggo Topolino da anni.

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