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Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2012 alle ore 19:08.

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Il libro descriveva molte cose degli italiani di oggi. Persone spesso insicure, frustrate, scontente di sé, a cui i tempi hanno insegnato una rincorsa continua e istantanea di piccole e superficiali competizioni e affermazioni personali, volatili, da rinnovare e rinnovare senza alzare mai lo sguardo. Siamo stati convinti da decenni di predicazioni commerciali che bisogna essere "se stessi", che gli altri cercano solo di fregarci, che le qualità altrui vanno invidiate e demolite invece che ammirate e premiate, che le persone straordinarie vanno guardate con sospetto, che le regole sono astratte e che bisogna venire bene quando ti inquadrano, e comunque farsi inquadrare. Abbiamo smesso di votare le persone che credevamo migliori di noi preferendo quelli uguali a noi, o persino peggiori. Ci siamo raccontati che essere minoranza è un vanto invece che una sconfitta. E quando queste cose, e un'idea dell'Italia passata e futura, le ho messe in un libro, c'è stato bisogno di una copertina.

Cosa mettereste in copertina, per rappresentare l'Italia di oggi o domani? Non è stato facile per niente. Il primo tic porta all'abusato repertorio di bellezze artistiche e paesaggistiche italiane, colossei, cipressi, cappellesistine, faraglioni, niente che abbia un'idea di ripensamento moderno di quel che siamo, vetuste eredità fortunate. Il secondo tic – era anche il 150esimo – guarda all'Unità, Garibaldi, i Mille, Porta Pia: ma malgrado le celebrazioni, anche quelli sono concetti difficilmente rinnovabili. Oggi siamo un Paese poco unito, se non politicamente, e l'Unità è comunque un valore meno robusto ed efficace di quelli che hanno reso orgogliosi altri grandi Paesi: le opportunità per tutti degli Stati Uniti, l'uguaglianza libertà fratellanza dei francesi, la colonizzazione culturale del mondo degli inglesi. E in ogni caso entrambi i due tic avrebbero portato a scelte graficamente banali. Alla fine, malgrado i dubbi dell'editore che temeva l'inflazione del genere, ho deciso io per un tricolore, una specie. Tre pennellate abbozzate di tricolore che nella mia testa volevano essere – oltre che belle – l'idea di un rinnovamento-nella-continuità, come dicono quelli, o meglio di una ricostruzione diversa dell'unica cosa che siamo.

A giudicare dai feedback, ho avuto torto: la copertina di quel libro è stata giudicata la cosa meno attraente dai lettori, e grazie al cielo il libro è andato benino lo stesso. Ma il tricolore funziona poco, comunque lo giri. Ci saranno anche delle ragioni grafiche, forse: le bandiere dei grandi Paesi che ho citato hanno altre vivacità e sono tutte bianche, rosse e blu, chissà se qualcuno ci ha fatto riflessioni tecniche (non parliamo poi di avere delle stelle, nella bandiera: ci credo che poi vivi tutto in quel modo là). Eppure, è davvero la cosa principale che ci unisce, nei famigerati successi sportivi a cui pensano tutti quando pensano ai momenti di condivisione nazionale. Se no, gli italiani sono gli altri. «Non fate gli italiani», sentii dire da una madre imbarazzata ai suoi bambini indisciplinati in un aeroporto americano, invertendo la famosa frase di D'Azeglio.

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