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Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2012 alle ore 11:36.

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Tutti ridono mentre davanti ai miei occhi s'è compiuta al contrario la metamorfosi di Febosilla nell'Orlando innamorato: da splendida creatura a mostruoso serpente. Poi scende il silenzio, di colpo: ognuno impugna il proprio telefonino e prende a farsi i fatti propri.
DIO E LE MARIONETTE
Per Heinrich von Kleist – nel finale del suo straordinario saggio intitolato Il teatro di marionette – "noi osserviamo che sempre nel mondo organico, quanto più la riflessione si fa debole e oscura, tanto più fulgida e imperiosa campeggia la grazia. Tuttavia, come l'intersezione di due rette al di là di un punto dato, dopo aver traversato l'infinito, si ripresenta ad un tratto al di qua di tale punto, o come l'immagine di uno specchio concavo, dopo essersi allontanata nell'infinito ricompare ad un tratto vicinissima a noi, così la grazia si ripresenta una volta che la conoscenza sia passata per così dire attraverso un infinito; in modo che essa, la grazia, si rintraccia al tempo stesso, più pura che mai, in quell'umana struttura corporea che o non ha coscienza alcuna o ha una coscienza infinita, cioè nel pupazzo meccanico oppure nel Dio".
Insomma, la grazia alberga al di qua e al di là dell'uomo. E la ragazzina bionda – pupattola e dea – insieme ai suoi compagni è qui a renderne testimonianza. Adesso si danno un certo contegno perché vicino a loro s'è seduto un gruppo di adulti, probabilmente amici dei loro genitori. Uno l'ho conosciuto, insegna a Economia e Commercio. Scambiamo quattro chiacchiere, poi riprendo a leggere il mio Guerra e pace.

Al tavolo dei ragazzi, intanto, s'è aggiunto un tipo curioso, che dimostra un paio di anni in più rispetto a loro. A colpirmi è il suo abbigliamento accuratamente demodè: espadrillas azzurre al posto delle ciabatte, boxer di tela blu invece del maxicostume da surfista, camicia Brooks Brothers col colletto liso, un paio di Ray-Ban e un mezzo Toscano in bocca. Gli altri ragazzi mostrano una certa deferenza nei confronti di questo baby-dandy post-postmoderno, e le pupille delle ragazze – Febosilla compresa – succhiano avidamente gli ultimi raggi di sole per scintillare al cospetto del nuovo arrivato, che è alto, grassoccio e biondo, e indiscutibilmente bello; nella confusione tra realtà e finzione, tra qui, ora, e Pietroburgo 1812, lo confondo con un giovanissimo Pierre Bezukov. Parla con voce profonda, senza alcun accento. È molto serio, ma tutto nella sua persona ispira serenità; dice cose non banali e a un certo punto, aiutandosi coi pollici e gli indici a formare un'inquadratura, dice tenendo il mozzicone di sigaro tra i denti bianchissimi: "Sarebbe bello rovesciare questa scena (la battigia nera, la striscia del mare, l'orizzonte violetto e il cielo) sottosopra". Una folata di vento muove i suoi capelli biondi, lisci, glieli alza come una cresta e glieli manda all'indietro.

È il momento in cui si accorge della presenza di una signora, al tavolo dei grandi – la moglie del professore universitario: si alza, va a salutarla e… le fa il baciamano, sfiorando un anello di turchese col suo naso rosso, un po' schiacciato. Mentre parla col professore e sua moglie, noto che quando inizia una frase balbetta leggermente, o meglio, esordisce con una sorta di colpo di tosse, come una falsa partenza. Coi suoi amici non gli succedeva. Sta raccontando del suo primo anno d'università; fa Scienze politiche: "Dal punto di vista del job placement", spiega, "è meglio di Giurisprudenza o di Economia, anche se il livello d'insegnamento è inferiore e ai professori manca un po' di carisma". Febosilla, che finge di scrivere un sms col suo cellulare, di nascosto se lo mangia con gli occhi… E come può farne a meno? È solo vedendo questo ragazzo che oggi mi sembra di vedere il futuro, non solo il loro, ma il mio, quello dei miei figli: dietro le pose decadenti da "uomo che ha visto tutto" c'è un'intelligenza che – lo sento – non andrà sprecata.

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