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Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2012 alle ore 16:31.

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«E tu, l'Imu, l'hai già pagata?». Il tormentone del 2012, l'estate del nostro scontento immobiliare, aveva cambiato la prospettiva per chi è cresciuto nei roboanti anni Zero del boom del mattone. Che differenza: prima, a qualunque cena, aperitivo, dopocena, terrazza, in qualunque consorzio appena benestante della penisola, in questo caso a Roma, dopo le discussioni sulle vacanze, i figli se ci sono, libri letti o scritti, c'era sempre qualcuno che annunciava di aver appena visitato un loft o stava per visionare uno scantinato o un attichetto o era reduce da una visura catastale o aveva chiamato e richiamato un'agenzia che proprio non era professionale. Il venerdì mattina, famelici, si comprava Porta Portese (il giornale delle inserzioni) uscendo di casa anche alle sei per battere tutti sul tempo. La ricerca, il restauro, il compromesso e la caparra; il gossip o discorso sulla casa era predominante nei pensieri di tutti, molto più del sesso. Del resto Casa.it e immobiliare.it erano siti molto più cliccati di quelli per le porcherie.

Adesso, invece, il mattone passava da oggetto di desiderio a incubo ansiogeno, e i sogni catastali svanivano all'alba soprattutto per noi trenta-quarantenni fuori sede che per anni avevamo vagheggiato, cercato, titillato immobili nell'agro romano. Si era stati tutti, un po', "turisti immobiliari", quelli tanto vituperati dalle agenzie, che non comprano (quasi) mai, e però acquisiscono sul campo esperienze formative importanti (e ogni persona di mondo nasconde in sé un turista immobiliare). Alla fine, infatti, si erano imparati tutti i lessici giusti; si era capito lo spread prima della crisi, si conoscevano i Libor e gli Euribor prima degli scandali, e si stava attenti alle decisioni della Bce più di molti broker (ma senza bonus). Si decifravano gli annunci: si era capito che "per amatori" significa solitamente un locale impraticabile, spesso un quinto piano senza ascensore, però carissimo. Che "ottimo investimento" era senza via di scampo un piano terra o seminterrato. Si diffidava del "restauro di design", temendo la mano di inferior decorator; e delle "finiture prestigiose" con uso crescente di porfidi, man mano che ci si avvicinava al Verano (i marmisti che diversificavano nel real estate). Si era discusso se acquistare una "nuda proprietà" non comportasse per caso conseguenze iettatorie per l'acquirente, e si era imparato a leggere le particelle elementari del catasto.

Man mano che salivano, si sapevano tutte le quotazioni, «quest'anno siam saliti a otto-nove al metro», «l'anno scorso eravamo a sette», «ai dieci-undici del 2007 non si ritornerà mai più». C'era chi raccontava esperienze da vera bolla: comprato negli anni appena prima del boom, a 500mila, ristrutturato e rivenduto a un milione. Sembrava Wall Street (i prezzi in centro storico a Roma salirono del 500% dal 2000 al 2006, grazie anche all'effetto euro). Nacquero belle amicizie solo per aver consigliato la magione giusta all'acquirente giusta; e molti di noi pensarono di riciclarsi nel settore. Ma naturalmente era già troppo tardi: la bolla cominciò a sgonfiarsi proprio con la discesa in campo di un'autorità morale come Roberto Carlino («Non vendo sogni, ma solide realtà») alle europee del 2009; lui non venne eletto, e i prezzi si fermarono.
Intanto tra chi la temperie l'aveva superata e aveva già acquistato, qualcuno cercava di ammortizzare la spesa trasformando in bed and breakfast o almeno (non potendo più fare vacanze in quanto mutuatario a rischio disclosure) si dedicava allo scambio case. Il b&b assurse a sinecura per i proprietari più aggressivi. Non funzionò quasi mai, anche se nessuno ammetteva il fallimento dell'impresa, tutti anzi millantavano ospiti deliziosi tedeschi e francesi («Educatissimi! Pulitissimi! Serve anche a mantenere fresche le lingue!») mentre molti oggi hanno nascoste scorte di marmellatine rotonde in formato ristorante, e tonnellate di burrini da hotel in scadenza, avendo sovrastimato la facilità del business e non considerato l'eccesso d'offerta, e poi oggi anche lo spietato sistema di rating utilizzato da siti come "Airbnb", coi clienti che non recensiscono solo l'abitazione ma anche te. La casa insomma era diventata un titolo, una commodity come le altre: aveva un rendimento diverso a seconda del profilo di rischio: affitto regolare (i più fiduciosi, erano "emersi" con la cedolare secca, spesso pentendosene subito); affitto normale (cioè in nero); affitto a turisti. Anche gli scambi-casa erano sospetti come obbligazioni argentine: c'era chi magnificava esperienze perfette tropicali, subito smentito da malevolenze che narravano di soggiorni in magioni fatiscenti con mosquitos e alluvioni.

Naturalmente la febbre immobiliare degli anni Zero a Roma aveva incrociato il fenomeno della gentrificazione, quel processo per cui «una zona degradata patria di spacciatori prima attrae studenti squattrinati attirati dalla droga e dal prezzo basso degli affitti, che poi rimangono lì dopo gli studi e aprono bar e gallerie; che attraggono artisti, che attraggono mogli di uomini ricchi che sperano di fare sesso con gli artisti; poi arrivano i loro mariti, che vogliono comprare le case degli artisti per cacciarli via, poi arrivano giovani coppie ricche che non possono credere che i prezzi siano così bassi, e poi arriva la middle class che vuole una casa grande ma non può permettersela altrove». La definizione è di Giles Coren, scrittore e critico gastronomico del Times di Londra, che qualche tempo fa malediceva il dover andare a provare un ristorante in una parte della città trendissima, e appena ieri invece «desolata, lontana, squallida, cancerogena». In Italia, a Roma, la gentrificazione non è stata selvaggia come a Londra, né l'espansione urbana così violenta. Lì, però, quotidiani e settimanali sempre attentissimi a come cambiano i quartieri e i posti giusti, con inchieste molto pragmatiche su dove conviene e dove non conviene abitare, grandi inserti House & Home, che consigliano "con 700mila pound di budget, le scelte da fare col cuore e quelle con la testa". E recensioni precise di nuove urbanizzazioni, che materiali sono stati usati, che gente ci abita, e «attenzione perché risiederete in un posto molto elegante ma avrete come vicini solo arabi e russi». Soprattutto, il rating sulla "community", cioè se c'è un senso del quartiere o no. In Italia, invece, nonostante l'ossessione nazionale, solo molte case minimaliste con travi a vista sbiancate e resine per terra, da ammirare sui femminili del sabato; e sulle pagine locali dei quotidiani recensioni di quartiere con l'attore di Cento Vetrine che confessa di adorare la pasta con le cozze di Gigetto, amico suo (forse anche mentendo).

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