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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2012 alle ore 19:50.

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I Gatti Mézzi, tutto quel jazz (in vernacolo) a Marina di PisaI Gatti Mézzi, tutto quel jazz (in vernacolo) a Marina di Pisa

Siete musicisti emergenti? Almost Famous recensisce solo musica indipendente. Inviateci demo, Ep e album più o meno auto-prodotti all'indirizzo almostfamous.ilsole24ore@gmail.com. Parleremo di chi ha tante idee e pochi soldi per realizzarle. Spietatamente

Sarà usata e abusata, ma tocca per l'ennesima volta fare ricorso alla celebre massima di zio Frank Zappa secondo cui «il jazz non è morto, ha solo un odore un po' curioso». Ci sta a pennello quando si parla dei Gatti Mézzi, duo pisano che dal 2005 incrocia jazz, canzone d'autore, cabaret e cattiverie in vernacolo, con già quattro dischi all'attivo per l'etichetta indipendente Sam.

Nel 2007 persino il Premio Tenco si accorse di loro. Da allora qualche collaborazione illustre, non poche parole di apprezzamento di testimonial eccellenti e tantissimi concerti. Il loro è un immaginario estremamente accattivante: ci vedi l'Italia impomatata di fine anni Cinquanta, la sigaretta sempre in bilico di Fred Buscaglione, gli sfottò pianistici di Renato Carosone, le spider scintillanti lanciate a tutta velocità sull'Aurelia fresca d'asfalto e battutacce in dialetto da indirizzare al «nemico» livornese. Cose spassose, insomma. I meccanismi dell'industria musicale però restano gli stessi (purtroppo per noi) e allora va a finire che chi abita dalla Versilia al Casentino conosce i Gatti e magari li apprezza, chi nelle altre regioni dello Stivale non ne sa granché. Un peccato perché Tommaso Novi e Francesco Bottai - l'uno pianista e l'altro chitarrista, entrambi cantati e autori della loro produzione – di cose da dire ne hanno. Lo dimostra «Berve fra le berve», loro ultimo album datato 2011. Dietro c'è un concept ben preciso: prendere la natura (animali in primis) per raccontare l'uomo e le sue beghe, in quindici pezzi spassosi. I giochi si aprono con «Balena», epica introduzione all'opera su un certo Tamburo che, negli anni Cinquanta, forse ispirato dai fumi dell'alcol vide un curioso «cetaceo» a Marina di Pisa.

Qua e là riaffiorano un po' Vinicio Capossela e Paolo Conte. Te ne accorgi anche in «Tempi bigi sur Tamigi», sorretta dal grande lavoro della sezione ritmica composta da Mirco Capecchi (contrabbasso) e Matteo Consani (batteria). «Occhiaia» rispolvera il do-wop all'italiana che fu, «Le bizze der vento» è un'ubriacatura alla Tom Waits, mentre il breve monologo «L'esotïo», su un tizio che mette su un chiosco di caccole, non avrebbe sfigurato in un album degli Squallor. Con «I gatti der Giari» Novi e Bottai declinano il verbo del blues e ne escono fuori visioni surreali. La ballad «Morirò d'incidente stradale» rappresenta uno dei momenti più alti del disco. Leggi il testo, sulle prime ridi ma poi pensi a questa vita che sembra quasi «una gita all'Ipercoop», all'inspiegabilità del male che ci consuma a poco a poco, al fatto che vorresti capire tutto e «'un c'è una sega da capire» e ti viene da concludere: «Mi basta solo di non fini' all'ospedale».

Da segnalare anche «Nella borsa delle donne», divertimento swing su questi misteriosi contenitori di cose che le nostre compagne si portano dietro («c'ho trovato er Sudamerïa,/ c'ho trovato un po' Caracas,/ un po' Marina, un po' New York»). Vero e proprio capolavoro è «Amore mio se un giorno andrò a puttane», acrobatico jazz chitarristico alla Django Reinhardt sulle improbabili scuse che si possono accampare per giustificare il sesso a pagamento. Le più spassose? «Sarà perché mi sento parte del bestiame». O forse «è per capire se De André s'era spiegato male».

Scegliate voi.
Gatti Mézzi
«Berve fra le berve»
Sam

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