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Questo articolo è stato pubblicato il 18 ottobre 2012 alle ore 07:58.

It's the American Dream, stupid. La grande sfida tra Barack Obama e Mitt Romney si gioca sul Sogno Americano. Sì, d'accordo, il dibattito è sull'economia, sul debito pubblico, sul welfare state, sulla sanità, sui posti di lavoro, sulle tasse, sul costo della benzina, sui tagli al Pentagono, sulla politica di sicurezza nazionale, ma al dunque le elezioni presidenziali del 6 novembre saranno vinte dal tedoforo più bravo a tenere viva la fiaccola dell'American Dream.
Il sogno americano è provarci, farcela, realizzarsi. Guardate la determinazione dei due ragazzi squattrinati di How to make It in America, la deliziosa serie tv Hbo ancora inedita in Italia: Ben e Cam inseguono il sogno di conquistare la scena fashion di New York, ma sono inadeguati e non ci riescono, eppure si rialzano e ricominciano ogni volta da capo come se nulla fosse. È questo il sogno americano, l'essenza stessa dell'America: non il raggiungimento della felicità, ma la garanzia di essere liberi, ma liberi veramente, di esercitare il diritto a ricercarla.
Alla convention repubblicana di Tampa, dove l'ex governatore del Massachusetts Romney ha cercato con qualche difficoltà di spiegare agli elettori l'America che ha in mente, si sono ascoltate commoventi storie di persone che si sono fatte da sole, gente capace di realizzare i propri sogni grazie all'ingegno, all'abnegazione e alle opportunità garantite dall'inaudita libertà americana. Alla convention democratica di Charlotte, dove il presidente Obama ha sottolineato l'importanza di finire il lavoro iniziato quattro anni fa, si sono ascoltate commoventi storie di chi invece ce l'ha fatta grazie alla safety net, alla rete di protezione, che lo Stato fornisce ai cittadini più bisognosi. Punti di partenza distanti, quelli di Obama e Romney, ma il sogno americano è il medesimo, anche se inevitabilmente declinato in modo diverso.
I conservatori credono che l'America si riprenderà tornando alle origini, rinnovando lo spirito della frontiera, liberando totalmente i cittadini da ogni costrizione imposta dallo Stato. I liberal rispondono che bisogna andare avanti sulla strada intrapresa da Obama, al costo di essere accusati di voler inseguire il modello europeo, perché non si può tornare indietro a quell'America degli anni Venti super individualista, molto ingiusta e poco protetta che piace ai nostalgici repubblicani.
C'è il forte rischio di caricatura in questa retorica di una parte e dell'altra che passa dal bianco al nero senza alcuna sfumatura di grigio, anche perché la grandezza dell'America sta proprio nella combinazione di questi due elementi: libertà e Stato minimo. Del resto Bill Clinton era quello che da sinistra diceva che l'era dello statalismo era finita e George W. Bush era quello che da destra professava un conservatorismo solidale. Ovviamente sia i liberal sia i conservatori sanno che questa accusa reciproca è posticcia, ma non frenano la foga propagandistica e sostengono acrobaticamente che in caso di prevalenza della visione altrui il Paese scivolerà sbadatamente verso l'inferno e renderà irraggiungibile il «runaway American dream», quel fuggente sogno americano su cui Bruce Springsteen ha costruito la sua pastorale. Siamo in pieno stile paranoico della politica americana, come da antico ma ancora attuale saggio di Richard Hofstadter (1964).
Obama e Romney promettono però di perpetuare il sogno americano. Sono entrambi convinti che l'America sia l'ultima grande speranza dell'uomo su questa terra, il Paese più formidabile della storia, la nazione eccezionale destinata per scelta e per costituzione a diffondere la libertà nel mondo. Questa non è una trovata da campagna elettorale, ma l'essenza della cultura e della tradizione politica americana. L'ideologia democratica e repubblicana nata oltre due secoli fa con la Rivoluzione americana si è fusa con il millenarismo protestante, ha scritto il Premio Pulitzer Gordon S. Wood nel libro The Idea of America, riuscendo in questo modo a convincere sinceramente gli americani di essere il popolo eletto da Dio, dotato di qualità e virtù peculiari e incaricato della responsabilità speciale di guidare il mondo verso la libertà e il governo democratico globale.
Prima ancora i Padri pellegrini parlavano di una città illuminata sopra la collina che avrebbe guidato l'America, la nuova Gerusalemme, verso la Terra promessa. La religione mormone, nata in America e di cui Romney è stato vescovo, è un prodotto tipico di questo modo di pensare, per quanto stramba è addirittura la quintessenza dello spirito americano: per i mormoni l'America è la nuova Zion, il Paradiso in Terra, il luogo fisico del Giardino dell'Eden e il posto dove Gesù risorgerà – individuato con precisione da Google Maps nella Jackson County del Missouri. Sono cose che fanno storcere il naso, se non di più, a cattolici e a laici, ma solo in America poteva nascere una religione di questo tipo e infatti i due geni comici di South Park e Team America, Trey Parker e Matt Stone, hanno puntato su ingenuità, semplicità e ottimismo dei mormoni per scherzare ancora una volta su ingenuità, semplicità e ottimismo degli americani in The Book of Mormon, lo show di straordinario successo a Broadway e nel 2013 in arrivo in Europa.
Lo storico James Adams, nel libro The Epic of America uscito nel pieno della Grande Recessione degli anni Trenta, è stato il primo a usare l'espressione American Dream: «Il sogno americano di una vita migliore, più ricca e più felice per tutti i cittadini di ogni ceto è il più grande contributo finora mai dato al pensiero e al benessere del mondo». «Quel sogno – ha scritto Adams – è stato realizzato in modo più pieno qui che altrove nel mondo, anche se in modo imperfetto tra noi stessi». Sessant'anni dopo Bill Clinton ha semplificato alla sua maniera il concetto: «Chi lavora duro e rispetta le regole non dovrebbe essere povero».
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