Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 10 novembre 2012 alle ore 18:58.

My24
Photocall del film "Mental". nella foto: P.J.Hogan (regista) e Caroline Goodall (LaPresse)Photocall del film "Mental". nella foto: P.J.Hogan (regista) e Caroline Goodall (LaPresse)

Carlo! Quante volte l'avete visto, a Roma, e l'avete chiamato così, «cor punto esclammativo». Verdone è un'istituzione comica e cinematografica e ora Fabio Ferzetti e Gianfranco Giagni, con un documentario classico e perfetto, ce lo restituiscono in tutta la sua grandezza. E non percorrendo la strada più facile, quella del repertorio usato a tappeto, di un montaggio serrato e di una scrittura piatta: no, in Carlo!, c'è la materia viva e pulsante del cinema di questo genio popolare e raffinato, che ha saputo raccontare gli anni '80 e '90 (con risultati straordinari) e a volte non è stato compreso (cos'è Gallo Cedrone se non un Cetto La Qualunque ante litteram?).

Carlo! è una conversazione con un maestro della risata e dell'analisi sociologica, è la chiacchierata con un amico che ha saputo dire sempre le cose prima e meglio di te, è il racconto di un uomo dolce e fragile e di un artista determinato. È, infine, il viaggio generoso di Verdone dentro se stesso, dentro il cinema e dentro un paese che forse nessuno ha raccontato meglio di lui. Ferzetti (a cui si devono, di sicuro, gli splendidi paralleli con Fellini e la sensibilità critica nel raccontare, peraltro, il figlio di un grande critico) e Giagni (bella la pudica spudoratezza della sua prima domanda) vanno a fondo del fenomeno Verdone senza invaderlo, lo accompagnano e sembrano persino aspettarlo quando non sembra pronto.

Cercano tutto ciò che non è stato detto, rifiutano le strade facili, lo indagano, a fondo, laddove è stato più se stesso: in un teatro di posa e nella casa in cui è cresciuto (a proposito, leggete La casa sopra i portici, ed. Bompiani, un gioiello). In 90 minuti circa scopriamo una persona – con i suoi personaggi – che eravamo convinti di conoscere ma che, dopo la visione, è ancora più vicina, intima. Un piccolo miracolo umano e cinematografico.

Ti allontana, invece, purtroppo, La scoperta dell'alba. Susanna Nicchiarelli, selezionata qui nella sezione Prospettive Italia, certo non è stata aiutata dal romanzo mediocre di Walter Veltroni da cui l'opera è tratta, ma il racconto pur interessante di una vittima delle BR vista dall'interno della sua famiglia, di una verità incastonata in una bugia, poteva essere sfruttato meglio. Niente da fare, invece, non ci si allontana mai da un racconto patinato – Gossi, di solito ottimo, qui "smarmella" troppo, usando una battuta cara alla serie tv Boris – e da dialoghi improbabili. Difficile entrare, quindi, in una storia che aveva bisogno, già di suo, di molta buona volontà dello spettatore, che doveva credere a una donna che parlava con se stessa bambina dal telefono della casa al mare. Un vero peccato, l'impressione è che tutti i talenti in campo avrebbero meritato miglior fortuna.

Piace, e molto il fuori concorso Mental, melodramma tutto al femminile sempre sul filo di una consapevole cialtroneria. Il cineasta che l'ha girato è PJ Hogan, autore, tra le altre cose, di un cult come Il matrimonio del mio migliore amico. Sopravvalutato, è vero, ma gustosissimo. Qui prende Toni Collette (sua musa da Le nozze di Muriel) e Liev Schreiber, Rebecca Gibney e Anthony La Paglia, un gruppo di ragazzine irresistibili e con loro disegna uno psicotico racconto di disagio familiare: una sorta di Mary Poppins fatta di acido che incontra Il giardino delle vergini suicide. E con un'autoironia straordinaria – le battute sull'Australia e la causa della sua follia generale sono meravigliose – ci porta dentro un dramma che, inaspettatamente, a tratti ci commuove. E alla fine gli applausi sono stati scroscianti: e dire che la scena finale ha visto Toni Collette dare fuoco a una bambola con un peto. Se lo sapesse Neri Parenti...

Commenta la notizia