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Questo articolo è stato pubblicato il 17 novembre 2012 alle ore 11:04.

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Ha supportato un'iniziativa come Studio, in cui si lavora a nuove gamme di elettrodomestici innovativi insieme con Indesit e Riello. Ha ottenuto un finanziamento dalla Banca Mondiale per coordinare un progetto che esplora nuove pratiche e strategie per la conservazione urbana e lo sviluppo sostenibile, avendo come destinatarie undici città storiche dalla Macedonia all'Uzbekistan alla Turchia. Per spiegare che risorsa formidabile il Politecnico possa essere, e già sia, per il nostro sviluppo bisogna partire dal luogo da cui si irradia la sua attività. Milano – ci spiega il rettore Azzone – «è l'unica città italiana considerata a livello internazionale e ha saputo dare una risposta piuttosto brillante alla deindustrializzazione, mostrandosi capace di innescare sviluppo, con una mobilità di energie che hanno seguito percorsi magari caotici ma spesso funzionanti». In una prospettiva in cui, visti su una mappa grande come il mondo, tutti i "piccoli" Stati europei (Germania compresa) sono destinati a essere reputati più o meno attraenti sulla base dei propri poli urbani più importanti, Milano deve coltivare l'ambizione di confermarsi come perno fondamentale del sistema-Paese. Lavorando «per Milano, con Milano e dentro Milano – dice il rettore – il Politecnico ha raccolto la sfida di diventare un gateway, aperto nelle due direzioni, tra l'ecosistema del capoluogo lombardo e il resto del mondo». E nel percorso di trasformazione da «università italiana» a «università italiana aperta agli stranieri» a «università internazionale» l'ateneo milanese ha già mosso molti passi. Infatti se gli studenti stranieri che studiano al Politecnico, sostanzialmente assenti soltanto dieci anni fa, sono ormai 4.500, provenienti da un centinaio di Paesi diversi, l'internazionalizzazione segue anche altre strade, come quella del Progetto Rocca attraverso il quale si sono create relazioni di ricerca con il Massachusetts Institute of Technology (1), con scambio di dottorandi e Ph. D. Nel frattempo è in corso la tessitura di una rete che connetta il Politecnico di Milano con altre università europee, con l'obiettivo di proporre corsi di studi che si sviluppino attraverso tappe in diversi atenei del Vecchio continente: un'offerta formativa che funzioni come una sorta di Grand Tour accademico. Molto si è parlato invece della recente decisione del Politecnico di fornire in inglese gli insegnamenti per la laurea magistrale e per i dottorati, a partire dall'anno accademico 2014/2015. È una scelta che non vuole certo annichilire la matrice italiana in quanto – assicura il rettore Azzone – «anche se uno studente segue un corso in lingua inglese deve rendersi conto che lo fa qui e non a Dubai». Ora che non più soltanto i grandi gruppi ma anche le Pmi chiedono laureati in grado di parlare con interlocutori di tutto il mondo, la svolta anglofona non ha soltanto l'obiettivo di rendersi più appetibile agli studenti stranieri, ma vuole avere una funzione importante anche sul "fronte interno". Chi ha più mezzi economici può sfruttare molte diverse opportunità per apprendere l'indispensabile inglese attraverso vacanze-studio all'estero, corsi intensivi o partecipazione ai progetti Erasmus (2), ma l'intento del Polimi è quello di offrire la possibilità anche agli studenti meno abbienti di diventare fluent seguendo i corsi universitari e al prezzo della semplice retta. E questo è particolarmente rilevante visto che avviene in un'università pubblica. L'iniziativa ha posto il Politecnico e il personale docente davanti a uno sforzo non irrilevante: in questi mesi 250 professori stanno perfezionando la lingua in cui dovranno fare lezione con corsi a cura dello Shenker Institute, che ha vinto un'asta indetta a questo proposito dal Politecnico. Gli studenti si sono mostrati interessati all'introduzione dell'inglese, come si può evincere da un aumento delle richieste di accesso ai corsi di laurea magistrale e a quelli di dottorato. Da una parte del mondo esterno sono invece piovute critiche anche feroci, che sono arrivate fino all'auspicio di arresto del rettore formulato da Vittorio Sgarbi.

L'ambizione di fare da interfaccia, dalla piattaforma privilegiata di Milano, tra l'Italia e il mondo non è però l'unica attività che rende il Politecnico un laboratorio indispensabile per l'innovazione e lo sviluppo del sistema-Paese. Basti pensare alla stretta relazione che il Polimi intreccia con le imprese: sono attivi, per esempio, un progetto nato con Eni nel 2007 per studiare tecnologie breakthrough nel settore petrolifero, attraverso cui individuare da satellite potenziali giacimenti in zone in cui sarebbe complesso condurre indagini geologiche più tradizionali, e una partnership avviata con Pirelli per sviluppare il cyber tire, uno pneumatico intelligente provvisto di sensori che rendano più sicura la guida. E alcuni accordi di analoga importanza sono in procinto di essere chiusi con altre grandi aziende, con un approccio innovativo che – come spiega il rettore – «superi il tradizionale concetto di trasferimento tecnologico. Noi vogliamo cooperare sedendoci allo stesso tavolo con le imprese fin dai primi passi di un progetto» e non sviluppare ricerche accademiche in solitaria per poi cercare uno sbocco nel mondo produttivo. In ogni caso, anche la ricerca che nasce all'interno dell'ateneo ha portato a 290 invenzioni brevettate dal 2001, per un totale di 550 brevetti attivi, di cui più della metà hanno trovato un reale utilizzo. Le relazioni tra Politecnico e mondo produttivo passano anche per la soddisfacente esperienza dell'Acceleratore d'impresa, un incubatore di start-up ad alto contenuto tecnologico nato nel 2001 e gestito dal 2007 dalla Fondazione Politecnico di Milano. Finora l'Acceleratore ha fatto da nido a 64 aziende italiane tra cui Neptuny (in seguito ribattezzata Moviri) che è riuscita a vendere il suo software per il capacity management Caplan al colosso Bmc, oppure Laserbiomed, che ha realizzato wHospital, la prima cartella clinica digitale, ed è poi stata acquisita da Lutech, società del gruppo Laserline. E nel triennio 2009-2011, in una fase non proprio brillante dell'economia, la Fondazione è riuscita a ottenere finanziamenti per 89 milioni di euro per realizzare 192 progetti, per un valore complessivo di 187 milioni di euro.

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