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Questo articolo è stato pubblicato il 17 novembre 2012 alle ore 11:04.

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Ora l'Acceleratore d'impresa è in procinto di fare un ulteriore salto in avanti attraverso il nuovo progetto PoliHub. L'iniziativa, che prenderà corpo nei primi mesi dell'anno prossimo, punta alla creazione di un distretto tecnologico destinato a mettere in contiguità fisica tra loro start up ad alto tasso di innovazione. L'idea – dice Azzone – è quella di «creare un ambiente di brainstorming puro tra imprenditori che si occupano di cose complementari, facendo nascere un bel crogiolo creativo» e di coinvolgere sia le start up incubate dal Politecnico sia imprese che ricevono finanziamenti da altri venture capitalist e business angel del territorio milanese. Offrendo alle giovani imprese spazi già provvisti di infrastrutture e creando una condivisione di spazi adiacenti, se non addirittura comuni, possono svilupparsi nuove sinergie e innescarsi collaborazioni virtuose. La previsione è quella di arrivare in un triennio a 150 start up incubate che operino in vari settori, da quello digitale e dei new media ai dispositivi medicali, dal disegno industriale alle tecnologie green-oriented e che possano interagire tra loro e accedere ai canali commerciali proponendosi al mercato da una vetrina comune più visibile. Il PoliHub, che si ispira ad analoghe esperienze già sviluppate in Inghilterra e in Germania, troverà spazio nel quartiere della Bovisa, un'area periferica di Milano in cui il Politecnico si è già inserito da alcuni anni, senza cancellare il substrato cittadino preesistente ma anzi rivitalizzando la zona. Dando anche soltanto un rapido giro di sguardo dalla stazione sopraelevata del Passante ferroviario, uno sguardo forse viziato da un po' di provincialismo, la Bovisa ha già assunto un nonsoché di europeo che ben si intona con l'ispirazione berlines-londinese del PoliHub. L'apertura verso l'esterno del Politecnico non significa comunque soltanto afflato internazionalizzante e rapporto con il mondo delle imprese. La capacità di collaborazione si manifesta anche con le altre istituzioni universitarie, per progetti che non sarebbe possibile sviluppare contando soltanto sulle proprie forze e competenze. È il caso della ricerca che si occupa della decodifica dell'epigenoma. All'interno del Polimi non c'è un dipartimento dedicato alle Scienze della vita e quindi si è intrecciato un rapporto strategico con l'Università Statale di Milano (e attraverso di essa con l'Istituto Europeo di Oncologia) per far convergere le competenze biologiche e quelle informatiche necessarie allo sviluppo di questo progetto. Il Politecnico attraverso i suoi dodici dipartimenti è impegnato insieme con i suoi moltissimi partner pubblici e privati in ricerche in campi strategici come la biotecnologia per la salute e le nanotecnologie, ma pur puntando tutto sull'innovazione non dimentica il suo glorioso passato. Un passato che non può essere taciuto in concomitanza con l'avvio delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario del Polimi, che sarà festeggiato per un anno intero – fino al giorno preciso del compleanno, il 29 novembre 2013 – con un calendario di iniziative create in collaborazione con altre tre eccellenze milanesi: la Triennale, il Piccolo Teatro e il Museo della Scienza e della Tecnologia. L'anniversario è un'occasione buona per sfogliare il prestigioso, e per molti versi misconosciuto, albo di un'università in cui si sono laureati il pioniere italiano nella lavorazione della gomma Giovanni Battista Pirelli, il genio dell'aeronautica Enrico Forlanini, il fondatore della Edison Giuseppe Colombo, il promotore del Museo della Scienza e Tecnologia Guido Ucelli di Nemi, gli architetti Luca Beltrami, Giovanni Muzio, Gio Ponti, Giuseppe Terragni e Mario Bellini, i designer Marco Zanuso, Achille Castiglioni e Vico Magistretti, i vincitori del Pritzker Prize Aldo Rossi e Renzo Piano, il premio Nobel Giulio Natta, senza dimenticare almeno due ex alunni diventati poi celebri in altri settori, come lo scultore Fausto Melotti e lo scrittore Carlo Emilio Gadda. È una storia che mostra come i "politecnici" non siano degli strambi adoratori degli integrali e delle formule dell'idraulica chiusi nella loro turris di calcestruzzo, ma abbiano storicamente contribuito da protagonisti allo sviluppo dell'Italia e di quella creatività del made in Italy che non è germinata spontaneamente nel nostro territorio senza l'ausilio di studi tecnici. Eppure il rettore Azzone che, per sottolineare la connessione tra l'ingegneristica e tutto il resto, ha scelto la triade "Tecnologia, Creatività, Cultura" come proprio motto («Tutti i rettori devono scegliere un motto, come i papi», precisa scherzando), percepisce ancora la fatica degli ingegneri che scontano «la difficoltà di doversi giustificare per lo scostarsi dalla media», anche ora che «non si può più pensare all'omogeneizzazione quando studiano nella stessa aula universitaria uno studente italiano, un azero, un israeliano e un cinese» che hanno una diversa formazione ma lavoreranno in un macrocosmo comune, in competizione tra loro. Una competizione in cui, in un'Italia che stenta nel compilare la propria ricetta di sviluppo e ha difficoltà a compiere quel salto culturale che – dice il rettore Azzone – passa attraverso una corretta valutazione costi-benefici e la conseguente capacità di scegliere, il Politecnico di Milano, che abbiamo scelto come simbolo ma non è certo l'unica realtà in cui si lavora all'innovazione, può dare un contributo fondamentale.

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