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Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2012 alle ore 15:02.

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«Dio vi parlò in mezzo al fuoco: voce di parole voi ascoltavate, immagine alcuna non vedevate. Solo una voce». Così Mosè nel libro del Deuteronomio (4,12) riassume l'esperienza vissuta da Israele al Sinai. Da quella vetta, infatti, era disceso il gelido precetto che apre il Decalogo: «Non ti farai immagine alcuna... ». L'epifania divina è nella parola creatrice e salvatrice che squarcia la notte del nulla: «In principio... Dio disse: Sia la luce!». È ancora Mosè a sentirsi rispondere dal Signore: «Tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo». C'è, dunque, un drammatico silenzio iconico nella religione biblica. Un silenzio che è, però, potentemente e paradossalmente infranto.

Infatti, il Dio biblico non è un numen oscuro, simile a «un groviglio di fili di cui non si trova il bandolo», come si diceva del dio sumerico Enlil. È una persona che usa il pronome "io" e il verbo fondamentale dell'"essere": «Io sono colui che sono», dichiara a Mosè dal roveto ardente. Anzi, l'antropomorfismo diventa una via rappresentativa costante, essendo l'uomo e la donna la sua "immagine" vivente: «Dio creò l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò» (Genesi 1,27). Perciò, egli avrà un volto, una bocca, orecchi, persino un naso che sbuffa nel l'«ira» (in ebraico l'onomatopeico 'af che incarna il "soffiare" sdegnato), braccia, mani, piedi, cuore e si rivelerà come padre, madre, sposo e così via. Per questo, con evidente ossimoro rispetto alla citata negazione dell'ostensione del volto, di Mosè si dirà che con lui il Signore «parlava bocca a bocca, in visione e non per enigmi ed egli può contemplare l'immagine del Signore» (Numeri 12,8).

L'apice è raggiunto nel cristianesimo ove la Parola divina eterna e trascendente si fa sarx, "carne", cioè figura umana con un volto preciso, azioni e parole concrete, nascita e morte. Ed è san Paolo a definire Gesù Cristo eikôn, «icona/immagine del Dio invisibile» (Colossesi 1,15). Questo contrasto tra visibilità e mistero, coesistente in contrappunto, costituisce la più incisiva rappresentazione della dialettica trascendenza-immanenza propria del divino. Di questo incrocio ne è testimonianza altissima la storia dell'arte e uno studioso francese, storico e teologo, docente al l'università di Strasburgo, François Boespflug, ne ha tentato la storia in un saggio monumentale che, a nostro avviso, è un vero e proprio gioiello critico, frutto di trent'anni di ricerche e analisi iconografiche. È uno di quei libri assolutamente indispensabili per tutti coloro che vogliono inseguire la trama artistica dei due millenni che abbiamo alle spalle nel loro filone più significativo ed è – lo dobbiamo confessare con una punta d'invidia – una di quelle opere che si sognano invano di essere in grado di scrivere.

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