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Questo articolo è stato pubblicato il 11 dicembre 2012 alle ore 08:13.
Duecentodieci, sessantanove, dieci, sette, e questi solo per cominciare. Ho passato tre giorni a lavorare al ristorante McDonald's di Segrate, provincia di Milano, tra l'idroscalo, Linate e il luna park, e la prima cosa che ho scoperto è che bisogna avere un'ottima memoria. Duecentodieci, per esempio, è il numero massimo di secondi che dovrebbero passare da quando un cliente si mette in coda a quando lo stesso cliente riceve quello che ha ordinato.
Ogni cassa inoltre ha un cronometro che parte automaticamente quando si comincia a digitare l'ordine e si ferma quando il cliente lascia la cassa col vassoio in mano: passata una certa soglia il cronometro diventa rosso e indica a chi sta prendendo l'ordine che bisogna fare più in fretta. Le eccezioni ci possono essere – momenti di grande folla, ordini particolarmente ricchi e complicati – ma duecentodieci secondi è l'obiettivo. Sessantanove, invece, è la temperatura minima che deve avere la carne appena cotta.
Ogni mattina il manager di turno usa un tester per misurare la temperatura dei primi hamburger cotti su ogni piastra: se il risultato è negativo si cambia la regolazione della temperatura e gli hamburger cotti male si buttano. Dieci sono i minuti che ogni panino può passare nel cosiddetto bin, cioè l'armadione aperto da entrambi i lati che siamo abituati a vedere dietro le casse: o il panino viene venduto entro quei dieci minuti o viene buttato, non perché non sia più commestibile ma perché il suo gusto, anzi, come dicono qui, le sue «qualità organolettiche», non sarebbero più all'altezza degli standard considerati soddisfacenti dall'azienda. Sette sono i minuti di vita massima, prima di essere venduto, dell'alimento che ha la vita più breve tra tutti quelli offerti da McDonald's, una volta cotto: le patatine fritte. Questo perché il loro gusto si deteriora in fretta e perché con le patatine non si può sbagliare: il 98 per cento degli scontrini battuti ogni giorno contiene, tra le altre cose, almeno una porzione di patatine fritte.
Simili rigidi parametri esistono per ogni alimento che si utilizzi in ogni ristorante McDonald's, dall'insalata ai pomodori al bacon al formaggio alle salse al pollo alla carne. I ragazzi che lavorano nel ristorante – i crew, non la crew – li conoscono a memoria, anche se ci sono dappertutto timer ed etichette, hai visto mai. L'applicazione di queste regole deve fare i conti con un altro principio, apparentemente opposto: cercare di sprecare meno cibo possibile. Le due cose riescono ad andare d'accordo grazie a un contributo informatico e uno umano. Il contributo informatico è quello di un software che sulla base di una montagna di dati storici sui consumi e le vendite è in grado di fornire una stima, per esempio, di quanti McNuggets saranno venduti nell'ora tra le 13 e le 14 di un giovedì di novembre in un dato ristorante, e così per ogni prodotto. Il contributo umano è quello fornito dal direttore del ristorante, che adatta quei dati alle circostanze contingenti: piove o c'è il sole? I mezzi pubblici circolano regolarmente o c'è sciopero? Gli studenti sono a scuola o è giornata di manifestazioni? Sta accadendo un qualche evento nelle vicinanze? Ognuna di queste variabili può incidere in modo significativo sull'afflusso di clienti e quindi sul consumo di cibo. Gli alimenti che si prevede saranno consumati durante la giornata vengono trasferiti ogni mattina dalla cella frigorifera ai magazzini e ai frigo di backup e da lì, ora dopo ora, in cucina. Quelli che vengono buttati sono tutti annotati su un foglio, così da vedere a fine giornata che cosa è andato storto.
Oltre alla memoria, c'è un'altra caratteristica non scontata che bisogna avere per lavorare da McDonald's: un udito sensibile e allenato. Nell'ora di punta, quella che chi lavora al ristorante chiama rush, le cucine diventano un'orchestra di segnali acustici. Di bip. Lunghi, corti, acuti, gravi. Decine, centinaia di bip ogni minuto, che spesso si sovrappongono. C'è quello che avverte che una delle cinque macchine per tostare il pane ha finito (e ognuna ha il suo bip), c'è quello emesso da una delle sei piastre per la carne (idem). C'è quello emesso da una delle sei vasche della friggitrice per dire che le cotolette o i nuggets sono pronti, o che c'è da lavare o cambiare l'olio. C'è quello emesso da ognuna delle sei vasche dedicate esclusivamente alle patatine fritte per dire che sono pronte oppure che gli va data una scrollata. C'è quello che segnala l'arrivo di una macchina al McDrive e quello che dice che bisogna andare tutti a lavarsi le mani (ci torneremo).
Per me e per qualsiasi persona normale, quei bip sono tutti uguali. Per chi lavora nelle cucine di McDonald's, invece, ogni bip ha un significato diverso e corrisponde a una reazione fulminea, istintiva. Queste reazioni scandiscono i tempi della catena di montaggio – niente è casuale nella preparazione di un panino, dalla sequenza di posizionamento degli ingredienti ai secondi di cottura della carne – e nell'ora di punta trasformano i 15-20 addetti della cucina in una specie di corpo di ballo, dove ognuno sa alla perfezione cosa deve fare e il lavoro dell'uno è allacciato e sincronizzato con quello dell'altro, come se fosse una messa in scena provata per giorni. Di fatto lo è. I movimenti dei crew si incastrano e ogni persona diventa un ingranaggio, al punto da riuscire a correre tutti da una parte all'altra della stretta cucina senza scontrarsi mai (facile: la regola per tutti è tenere sempre la destra). Il manager dirige l'orchestra. Prima che inizi il gran casino dell'ora di punta, insieme al direttore (il capo del ristorante) ha dato a ogni persona un incarico primario e uno secondario, da curare nei minuti o secondi liberi. Durante il gran casino coordina le operazioni e decide come organizzare la disposizione dei dipendenti: come un allenatore durante una partita di calcio valuta se e dove servono rinforzi e interviene in corsa spostando le persone dove c'è più bisogno: dalle griglie alle friggitrici o dalle friggitrici al McDrive o dai condimenti alle griglie. L'obiettivo è servire i clienti il più rapidamente possibile ma farlo preparando il più cose possibili su richiesta diretta e non in anticipo, così da vendere alimenti appena cotti e buttarne sempre meno.
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