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Questo articolo è stato pubblicato il 11 dicembre 2012 alle ore 08:13.

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Illustrazione di Simone TrottiIllustrazione di Simone Trotti

Una volta ogni ora il manager si assicura che tutti si lavino le mani, ma in realtà tutti si lavano le mani continuamente. Il timer del lavaggio mani suona ogni ora ma la policy prevede che ci si debbano tassativamente lavare le mani anche ogni volta che ci si toccano il viso o i capelli, ogni volta che ci si toccano i vestiti, ogni volta che si stringe la mano a qualcuno, ogni volta che si cambia mansione, ogni volta che si torna da una pausa, ogni volta che si esce dalla cucina, ogni volta che si raccoglie qualcosa caduto a terra. Ho ascoltato questo elenco, ho detto ok, mi sono lavato le mani, pochi secondi dopo mentre ascoltavo le istruzioni sulla cottura della carne mi sono istintivamente toccato il viso. «Ora ti ri-lavi le mani». Mi sono ri-lavato le mani. Da lì in poi ho scoperto quante volte, praticamente senza accorgermene, avrei avuto l'impulso di grattarmi il naso o un occhio o la testa, o quanto grattarmi ovunque e strategicamente prima di lavarmi le mani non avrebbe impedito al prurito più fastidioso di arrivare un attimo dopo aver finito di asciugarle. Le mani e gli avambracci si lavano con un sapone battericida in un rubinetto ben preciso, dal quale esce acqua a una temperatura fissa e molto calda.

Tutte queste cose le so perché me le ha spiegate Alberto, che per tre giorni mi ha mostrato il funzionamento di praticamente ogni cosa si trovi dentro un McDonald's. Per dire, lo sapevate che il McToast si fa col pane dell'hamburger tostato al contrario? O che ogni ristorante McDonald's "produce" direttamente la sua Coca-Cola nelle sue cucine miscelando nelle giuste dosi acqua filtrata, sciroppo concentrato e anidride carbonica? O che spesso gli operatori del McDrive prendono il vostro ordine mentre corrono a preparare il precedente con cuffie wireless e acrobazie di multitasking? Dicevamo di Alberto, però. Alberto ha 25 anni e lavora in McDonald's da tre: ha iniziato mentre studiava all'università, con l'idea di mettere da parte qualche soldo, e non se n'è più andato. Nel frattempo si è laureato in mediazione linguistica e culturale, parla il cinese, in McDonald's hanno visto che è in gamba e ha fatto carriera con una certa rapidità: oggi è manager, presto sarà vicedirettore. Un altro manager del ristorante è Chamit, 24 anni, proveniente dallo Sri Lanka, in Italia da 11 anni, in McDonald's da due. Solange invece ha 22 anni, studia all'università, in tre giorni l'ho vista fare praticamente tutto – la cucina, le feste per bambini, il bar, il McDrive – e spera di restare in McDonald's anche dopo la laurea, magari occupandosi di marketing. Le loro storie sono simili a quelle della gran parte dei loro colleghi.

McDonald's ha 16mila dipendenti in Italia. Di questi l'81 per cento ha meno di 35 anni e il 79 per cento ha un contratto part-time (si può scegliere anche tra turni orizzontali, spalmati su tutti i giorni della settimana, o turni verticali, soltanto nel weekend). I crew hanno in media 28 anni, i manager 31, i direttori di ristorante 35. Un direttore di ristorante gestisce negozi delle dimensioni di una media impresa italiana: 35 dipendenti, almeno due milionai di euro di fatturato. In McDonald's si entra con un contratto di apprendistato da 36 mesi – niente contratti a progetto – e tutti mi dicono che salvo disastri nel 90 per cento dei casi il contratto si trasforma a tempo indeterminato. Il ristorante di Segrate è gestito da un licenziatario, cioè un privato in società al 50 per cento con McDonald's. Si chiama Euroristoro ed è il più grande licenziatario McDonald's in Italia, con 14 negozi e circa 470 dipendenti. Anche in Euroristoro hanno cominciato tutti dal piano zero, arrostendo hamburger e friggendo patatine: il direttore del ristorante di Segrate, Samantha; la supervisore di quello e altri cinque ristoranti, Elena; la responsabile marketing, Loredana; il direttore operativo, Davide.

Anche il capo di Euroristoro, Giacomo Bosia, ha iniziato dalle cucine: quelle di Burghy, però, la catena fast food del gruppo Cremonini che spopolò soprattutto al Nord tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta. Da crew a 24 ore settimanali diventò manager, si fece le ossa, l'azienda gli propose di rimettere in piedi un ristorante piuttosto malmesso nella zona di Modena diventando licenziatario, lui disse che gli sarebbe piaciuto ma non aveva un soldo: l'azienda, desiderosa di rilanciare un ristorante che andava molto male, alla fine gli propose di prenderlo lo stesso, promettendo che avrebbe pagato le eventuali perdite e diviso con lui gli eventuali guadagni. Il ristorante di Modena fu riqualificato e rimesso in piedi, ne seguirono degli altri, nacque Euroristoro, nel frattempo Burghy fu comprata da McDonald's – rivale fino a un attimo prima – e dopo l'acquisizione Bosia decise di mandare i suoi dipendenti a formarsi in Francia e non in Italia, ché McDonald's in Italia era ancora una realtà piccola e agli inizi. Le cose andavano piuttosto bene, poi arrivò la crisi. Non questa crisi, quella di questi anni: un'altra.

Tutte le persone con cui ho parlato, tra quelle che hanno un po' di anni di esperienza in McDonald's, mi hanno detto che la vera crisi per l'azienda non è l'attuale, e che anzi in questi anni ci si è tenuti in piedi senza grandi problemi: mentre molte grandi società licenziano o mettono dipendenti in cassa integrazione, soltanto nel 2011 McDonald's ha aperto 24 nuovi negozi facendo 1.500 nuove assunzioni. La vera crisi per McDonald's è arrivata prima, tra la fine degli anni Novanta e l'inizio del Duemila: gli anni della mucca pazza, del movimento no-global, della guerra in Afghanistan e del crescente antiamericanismo. McDonald's accusò il fatto di trovarsi simbolicamente al centro dello scontro-di-civiltà, volente o nolente. Ma si scoprì anche, per sue negligenze, particolarmente esposta a questo genere di problemi, avendo investito poco nell'adeguare la sua immagine ai tempi, affrontando con grande ritardo sia le dicerie che le critiche serie, investendo poco su concetti come trasparenza, qualità, sicurezza, attenzione all'ambiente e affidabilità, che oggi invece vengono ripetuti ossessivamente.

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