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Questo articolo è stato pubblicato il 17 febbraio 2013 alle ore 00:26.
Lasciate perdere la classifica ufficiale: qui di seguito trovate promossi e bocciati della sessantatreesima edizione del Festival secondo il nostro particolarissimo osservatorio.
Marco Mengoni, voto: 5
Alle sue fan sarà anche piaciuto, ma alle sue fan piace a prescindere. I due brani che ha proposto erano infarciti di stucchevolezza pop, tutti orecchiabilità e rantoli. È arrivato fino in fondo con «L'essenziale», titolo che rende bene l'idea del suo contributo artistico a quest'edizione. Nel senso che siamo proprio al minimo sindacale. Esce bene dalla serata «Sanremo Story», nella quale ha dato una buona lettura di «Ciao amore ciao».
Modà, voto: 4
«Se si potesse non morire» è la fiera dell'ovvio in forma musicale: ritmo compassato, giro armonico furbo, melodia easy listening, testo sottoscrivibile da chiunque: chi non vorrebbe non morire? La quintessenza del sanremese 2.0. Ne profetizziamo il successo di vendite: è molto Modà, andrà molto di moda.
Annalisa, voto: 6
Le togliamo mezzo voto per come venerdì ha sciupato, con la complicità di Emma, quel capolavoro di «Per Elisa». Per il resto, la sua «Scintille» non sarà un capolavoro ma propone un pop onesto che in autoradio, trasmesso dalle stazioni mainstream, ci sta benissimo.
Chiara, voto: 7
Senza dubbio una delle voci più interessanti sfornata in dieci anni di talent show, convince anche in contesto festivaliero. Ha la fortuna di intercettare autori importanti (dopo Eros Ramazzotti, e Federico Zampaglione Francesco Biaconi) ma si sa che dietro la fortuna c'è sempre un (bel) po' di merito. Il tango postmoderno, in stile Gotan Project, de «Il futuro che sarà» è una bella pagina musicale di quest'edizione che ci lasciamo alle spalle.
Raphael Gualazzi, voto: 8
«Sai (ci basta un sogno)» non è certo il pezzo più originale che il pianista urbinate abbia scritto. Anzi, si amplifica, ascolto dopo ascolto, la sensazione di già sentito. Ma si sa che l'improvvisazione jazzistica si nutre di altra musica e la composizione di Gualazzi è evidentemente figlia dell'improvvisazione jazzistica. Un bel segnale vederlo sul palco dell'Ariston.
Simona Molinari con Peter Cincotti, voto: 6,5
Uno swing di gusto decisamente retrò, «La felicità», interpretato con sensibilità moderna. Dopo che l'hai ascoltato due volte, fai una certa fatica a dimenticarne il motivo. Tra i due ci sembra di cogliere un grandissimo feeling che sarebbe bello venisse declinato in un progetto discografico più complesso. Cinquanta sfumature di jazz. Bella la jam con Franco Cerri. Escono davvero bene da questa edizione.
Maria Nazionale, voto: 4
Per carità, la musica neomelodica avrà anche una sua dignità se in giro ci sono critici importanti che la sdoganano a giorni alterni. Siamo immuni all'«esotismo» del genere e per questo abbiamo percepito «È colpa mia», con quel mix postmoderno di italiano e napoletanese (altra cosa dalla lingua napoletana), come un oggetto estraneo al Festival. Ci sarà pure il grande Peppe Servillo tra gli autori, ma ne avremmo fatto volentieri a meno.
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