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Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2013 alle ore 11:44.

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Io e mia madre abbiamo una passione per la preghiera. Abbiamo preso strade diverse – lei ha studiato teologia e porta la comunione a casa degli anziani, io faccio questo (per esempio non riesco a trattenermi dall'immaginare mia madre vestita da ragazzo delle consegne che porta impilati sul bauletto del motorino dei cartoni con le ostie) – ma restiamo legati dall'usanza cristiana. Lo premetto nel caso un lettore ci tenesse per primo a precisare che il mio argomento è soggettivo.

La notizia che avevamo un Papa mi è arrivata mentre seguivo un incontro fra Diego De Silva e Philippe Besson all'Istituto Italiano di Cultura di Parigi: si parlava di passione e di sesso. Il messaggio di mia madre diceva: «Fumata bianca». Siccome negli anni la mia curiosità per le posizioni e il tono di Ratzinger è lentamente evaporata, la trepidazione che provavo mi ha sorpreso. Ho aperto il portatile, mi sono connesso e ho guardato la diretta Sky sul sito.
Il Papa è uscito un'ora dopo. La presentazione era finita e io, la direttrice dell'Istituto Marina Valensise, De Silva e la mia fidanzata guardavamo la Rai su un televisore bombato: esce il nunzio, decrepito, lo scambiamo per il Papa, uno di noi grida «Ma è già morto!», mi accorgo di avere un tuffo al cuore all'idea di un Papa decrepito; poi dice il nome del Papa, capiamo che è solo il nunzio (d'altronde era vestito un po' da comprimario), io non so niente di cardinali e non provo niente sentendo «Bergoglio», ma poi dice che si chiamerà Francesco e mi intenerisco, per i due Francesco che mi ricorda, il santo amante della natura e me. Partono le immagini di repertorio del gesuita perito chimico, dall'aria molto seria. Ci dichiariamo tutti soddisfatti. La cosa non è di secondaria importanza visto che ci troviamo in quel che fu lo studio di Talleyrand nella Francia post rivoluzione, il che dona al momento delle intense vibrazioni diplomatiche.

Poi esce in terrazzo il Papa e lo troviamo grasso, come fosse una furbata, come avesse deciso lui di illuderci, prima, sulla Rai, con le immagini di repertorio. Facciamo battute, «ah però», «ti sei imbarcato», «be', è proprio grasso».
Il Papa apre bocca: una voce gentile, un personaggio un po' letterario, il supereroe che parla al microfono, nel rimbombo malato di una piazza adorante, come salutasse i fedeli sul sagrato della chiesetta davanti casa dei miei, che ha il superpotere di ridurre la scala degli eventi. «Fratelli e sorelle… buonasera. Voi sapete che il dovere del conclave era di dare un vescovo a Roma e sembra che i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo alla fine del mondo, ma siamo qui. Vi ringrazio dell'accoglienza. La comunità diocesana di Roma ha il suo vescovo. Grazie». Di lì a poco ci spara, così, un Padre Nostro tipo Where the Streets Have No Name ai concerti degli U2. «Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza». Poi si fa benedire dal popolo. E ha un accento pazzesco.

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