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Questo articolo è stato pubblicato il 21 giugno 2013 alle ore 08:17.

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L'atterraggio di Curiosity su Marte, il 6 agosto del 2012, è il giorno in cui il sogno di portare gli esseri umani su Marte – un pianeta che dista dalla Terra 230 milioni di chilometri, dove l'atmosfera è definita inospitale e il termine è altamente eufemistico – è diventato più concreto. Ma è una passione antica, quella di esplorare il Pianeta rosso: Wernher von Braun, l'ingegnere tedesco considerato il padre della "scienza dei missili", pubblicò nel 1948 Das Marsprojekt, un saggio in cui spiegava come raggiungere Marte, e subito dopo la conquista della Luna presentò un piano per una missione all'allora presidente americano Richard Nixon.

Negli ultimi quarant'anni, in realtà, non sono stati fatti tanti progressi: l'attività spaziale a oggi è concentrata per lo più nell'orbita terrestre. La Nasa ha per ora il monopolio su Marte – i sette veicoli atterrati sul pianeta con successo sono stati lanciati dagli Stati Uniti – e ha l'obiettivo di mandare astronauti attorno al 2030, più probabilmente il 2035. Nessuna missione su Marte può essere fatta senza la collaborazione della Nasa, ma è molto probabile che saranno i privati a patrocinare il primo lancio di un uomo sul Pianeta rosso.
Elon Musk è il più pronto di tutti. Con la sua SpaceX ha già scardinato la tradizione spaziale, inviando la navicella Dragon alla Stazione spaziale internazionale per due volte: è il primo privato ad aver portato a termine una missione di rifornimento nello spazio. Per Musk, che è diventato famoso fondando PayPal e poi Tesla, questo è solo l'inizio: l'obiettivo finale è Marte, vuole essere lui il traghettatore del primo essere umano fin lassù, e poi sogna una colonia, ottantamila persone da portare ogni anno, addirittura. Ma perché andare su Marte? Musk dice che il Sole si sta espandendo, gli oceani bolliranno nel giro di 500 milioni di anni e sulla Terra resisteranno soltanto i batteri: ora che ci sono le competenze tecnologiche per scappare su un altro pianeta, bisogna sfruttarle. Subito: «I viaggi spaziali sono la cosa migliore che possiamo fare per estendere la vita all'umanità».

Laura Kahn, ricercatrice a Princeton esperta di sicurezza globale, dice che una missione su Marte favorirebbe un avanzamento scientifico senza precedenti in termini di energia, propulsione, riserve di cibo e acqua, smaltimento e riciclo dei rifiuti. Certo, i costi sono altissimi: persino la Nasa è molto vaga, dice che mandare esseri umani su Marte costa dai 20 ai 450 miliardi di dollari, un range talmente ampio da non essere considerato affidabile.
Dennis Tito, il tycoon americano che è stato, nel 2001, il primo turista dello spazio, ha fornito una spiegazione più pionieristica al red dream. Tito, che ha già progettato una navicella a due posti per la missione, non mira ad atterrare sul Pianeta rosso: vuole fare un viaggio nell'orbita marziana (a circa 140 chilometri dal suolo), e poi tornare indietro. A chi gli dice che tanti rischi senza nemmeno toccare la sabbia rossa sono abbastanza inutili, lui risponde che la sua è una missione «à la Charles Lindbergh», è necessario dimostrare che si può fare, che Marte non è così irraggiungibile come si dice. È necessario buttar giù la prima frontiera, con un'attraversata spaziale.

Arrivano i cinesi (anche qui)
La prima fase delle esplorazioni nell'universo è legata al lancio di razzi, nasce alla fine della Seconda guerra mondiale ed è una dimostrazione di forza: americani contro sovietici. Con la caduta del Muro è iniziata una nuova fase, simboleggiata dalla Stazione spaziale internazionale, dedicata alla ricerca scientifica, frutto della collaborazione tra americani, russi, europei, giapponesi e canadesi (la costruzione è iniziata alla fine degli anni Novanta, dal 2000 la stazione è abitata da due/sei astronauti a rotazione). Ora siamo entrati nella terza fase: quella commerciale. A determinarla è stata in parte l'austerità che ha colpito il budget della Nasa, pur se in modo minore rispetto ad altri progetti federali americani: la richiesta di fondi per il 2014 (l'anno inizia a ottobre del 2013) è di 17,7 miliardi dollari, 55 milioni in meno rispetto al 2012 e 170 in meno rispetto al 2013: un calo di circa l'1 per cento, di questi tempi, è quasi trascurabile.

Gli astronauti della vecchia guardia, quelli dello sbarco sulla Luna per intenderci, scrivono lettere a Barack Obama per dirgli che sta condannando l'America alla mediocrità, anche nello spazio, che lo sanno tutti che nella Stazione spaziale internazionale comandano i russi con i loro razzi Soyuz e che i cinesi sono lì lì per prendersi, oltre che la leadership della Terra, anche quella della Luna e di Marte. Pechino ha già lanciato 176 missili, per portare satelliti nell'orbita terrestre, che fanno parte del programma spaziale Lunga Marcia. Dal 2011 sono iniziati i lavori per costruire una base spaziale cinese, che sarà pronta per il 2020, l'anno in cui arriverà il primo astronauta cinese sulla Luna. Ma anche per la Cina l'obiettivo finale è Marte, e secondo alcuni esperti le sperimentazioni sono state accelerate per evitare la competizione indiana, sempre più vivace: il primo cinese sul Pianeta rosso è previsto per il 2040. Colmare il gap scientifico con americani e russi è dura per Pechino, ma è pur vero che anche le priorità della Nasa – e degli uffici dedicati allo spazio al Pentagono, 27,5 miliardi di dollari di budget richiesti per il 2014 – sono molto diverse rispetto al passato. È soprattutto il ruolo dell'agenzia spaziale a essere cambiato. Mark Kaufman, giornalista del Washington Post che ha pubblicato l'anno scorso un libro sulla missione di Curiosity, dice che «la Nasa è indispensabile, come interlocutore unico o come partner, per qualsiasi sbarco di esseri umani sulla superficie del Pianeta rosso», e che questa condizione non cambierà a breve. La Nasa è diventata «un'ostetrica», come l'ha definita Dan P. Lee sul New York Magazine: aiuterà a far nascere questo nuovo settore industriale, nel quale saranno i privati a portare gli uomini su Marte.

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