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Questo articolo è stato pubblicato il 28 luglio 2013 alle ore 16:19.

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La fine di Benito (e poi del Duce)

I fatti raccontati in stile romanzesco in L'estate degli inganni sono tutti realmente accaduti. Adelchi Battista ha utilizzato vari espedienti, tentando di non tradire mai una sorta di verosimiglianza, ricavata dalla sterminata quantità di fonti che oggi è a disposizione di tutti. Egli non può (e non vuole) rispondere dell'attendibilità di tali fonti, poiché questo è compito dello storico: la grande maggioranza dei protagonisti degli avvenimenti dell'estate 1943 ha lasciato testimonianza scritta e abbondante documentazione della propria esperienza. Se in alcuni casi questa testimonianza è molto attendibile, in altri essa presenta diversi problemi, quando non è in aperta contraddizione o in polemica con altri testimoni, diventati alle volte avversari politici nel dopoguerra. Questo per dire quanto sia difficile costruire una verità storica condivisa, sugli accadimenti che ci hanno portato all'8 settembre. È opinione del narratore che solo il controllo incrociato della maggior parte delle testimonianze e dei documenti possa generare una possibilità di interpretazione, e questo controllo incrociato può essere reso fruibile al grande pubblico soltanto da una forma di romanzo che unisca il reportage giornalistico con lo stile più classico del racconto della Storia. È un'esperienza che la Domenica vi propone in sei puntate. Ecco la prima. È la mattina del 26 luglio 1943. Benito Mussolini, sfiduciato nella seduta della notte sul 25 dal Gran Consiglio del Fascismo, dopo il colloquio con Vittorio Emanuele III è stato trasferito nella caserma degli allievi carabinieri di via Legnano a Roma, «per la sua sicurezza». Badoglio è il nuovo capo del governo. Grandi festeggiamenti tra la popolazione. All'alba sono cominciate le devastazioni nelle sedi del Partito nazionale fascista mentre il quartier generale di Hitler, a Rastenburg, è in piena fibrillazione.

Lunedì 26 luglio 1943
Pietro Carradori è stato sempre l'ombra del Duce, l'attendente più fedele. Anche stamattina, come ogni giorno si è presentato a Palazzo Venezia nonostante i proclami del re e di Badoglio. Mentre si aggira sulla cima dello scalone sente arrivare un gruppo di militari dal cortile. Si tratta di un tenente colonnello dei carabinieri con intorno una scorta armata fino ai denti. Salgono rapidamente le scale.
«Buongiorno» gli dice quello passandogli accanto a gran velocità.
Carradori resta un attimo confuso, poi lo segue.
Si sta dirigendo con gli altri carabinieri armati verso la sala del Mappamondo, ovvero lo studio di Mussolini.
«Scusate...» prova timidamente Carradori.

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